CAPITOLO II
Libero impiego, regolamentazione e bando
(segue)

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2 . 3 – Le Nazioni Unite

 

L’Assemblea Generale delle Nazioni Unite aggiorna ogni anno una risoluzione denominata “General and Complete Disarmament”. La risoluzione è divisa in più sezioni dedicate a singoli armamenti.

Nel 1993, alla sezione K, venivano inserite per la prima volta le mine antiuomo[44]. Il preambolo evidenzia i danni che questi ordigni procurano ai civili ed in particolare ai bambini; parla di impedimento allo sviluppo economico, sociale e alla ricostruzione post-bellica causata dalla presenza delle mine sul terreno; così come delle difficoltà del ritorno a casa di rifugiati e dispersi. Il testo della risoluzione invita gli Stati ad adottare una moratoria sulle esportazioni delle mine. Le Nazioni Unite stimavano allora in 85 milioni il numero di mine sparse nel mondo.

 

Nel 1994 la trattazione dedicata alle mine antiuomo diviene più corposa, mentre non cambiano i numeri delle stime[45]. Le novità sono rappresentate dall’importanza che viene data alla CCAC del 1980 e relativi Protocolli (proprio nei giorni in cui cominciavano i lavori preparatori per la conferenza di revisione) e dall’inserimento di un primo timido accenno alla possibilità di arrivare all’eliminazione delle mine[46].

 

Nel 1995 il numero di risoluzioni dell’Assemblea dedicate alle mine diviene più corposo. Le decisioni che vi sono contenute non producono nessun passo in avanti rispetto all’anno precedente, ma si legge tra le righe una più seria analisi del problema, come se si fosse presa coscienza della gravità della situazione.

Nella solita risoluzione sul disarmo[47] (dopo aver richiamato i problemi sui civili, i rifugiati e lo sviluppo economico) si pone l’accento su come le mine siano destinate a procurare danni prolungati nel tempo anche dopo la fine di un conflitto. L’accenno a un’eventuale eliminazione delle mine diviene meno timido[48] e vengono inseriti dati più aggiornati e dettagliati :

-         più di 110.000.000 di mine seminate in più di 60 Paesi;

-         da 2 a 5 milioni di mine interrate ogni anno;

-         solo 100.000 mine neutralizzate nel 1994.

Altra risoluzione interessante è quella dedicata alla CCAC[49], di cui si registra con rammarico la situazione di stallo nei lavori di revisione. Nel preambolo le Nazioni Unite riconoscono che un accordo per proibire o restringere l’uso di alcune armi convenzionali significherebbe ridurre le sofferenze di civili e combattenti.

 

Nel 1996 la politica di disarmo sulle mine antiuomo ha una svolta. La sezione S della risoluzione “General and Complete Disarmament”[50] si intitola “An International agreement to ban anti-personnel land-mines”. Questa volta l’invito è per un accordo contro le mine e non solo per una moratoria sulle esportazioni e viene salutata con gioia la conferenza per la messa al bando delle mine, che nel frattempo ha concluso i suoi lavori a Ottawa. Ciò che non cambia è il linguaggio delle Nazioni Unite che rispecchia la lentezza con cui vengono prese le decisioni; si chiede infatti al Segretario Generale di preparare un rapporto sui passi da compiersi per giungere al bando (mentre il lavoro delle ONG si stava ormai spostando sulla stesura del testo che verrà approvato un anno dopo). I nuovi dati parlano di 2 milioni di nuove mine sul terreno e di soli 50.000 pezzi neutralizzati.

Almeno altre cinque risoluzioni si sono occupate di mine in quell’anno. Si parla, ad esempio, degli alti costi per lo sminamento e la ricerca tecnologica che deve supportarlo e nello stesso testo si ribadisce la necessità di registrare il posizionamento degli ordigni[51]. Un provvedimento riferisce inoltre dell’emergenza mine in Nicaragua[52].

 

Nel 1997 le mine antiuomo “conquistano” la sezione A della Risoluzione sul disarmo[53]. Il testo è dedicato alla Convenzione di Ottawa. Gli Stati vengono invitati a firmarla con sollecitudine e a studiare le misure necessarie per renderla operativa. Nel Preambolo della Risoluzione anche le Nazioni Unite riconoscono il ruolo fondamentale svolto dalle ONG. Infine, nella Sezione H della stessa Risoluzione, l’Assemblea richiede il contributo delle Organizzazioni Regionali nella bonifica delle aree minate.

È interessante notare che la sezione A ha ricevuto il voto favorevole di venti Stati che sono poi rimasti fuori dalla Convenzione di Ottawa[54], il che ci sembra che possa confermare le cautele con cui bisogna leggere i provvedimenti non vincolanti di quest’organo dell’ONU, ma ci permette anche di individuare un mezzo per fare pressione su questi Stati affinché rispettino gli impegni assunti.

Il tema delle mine viene poi ripreso da una Risoluzione sui problemi legati allo sminamento[55]. Il testo sottolinea come la quantità di mine annualmente posta sul terreno sia esponenzialmente superiore alle possibilità di sminamento e invita i Paesi che dispongono di particolari conoscenze tecnologiche ad aiutare quelli in difficoltà.

 

Nel 1998 i delegati dei vari Paesi si ritrovarono a discutere della Convenzione di Ottawa quando questa aveva già raggiunto la quarantesima ratifica[56] che l’avrebbe fatta entrare in vigore nel giro di pochi mesi. Il solito aggiornamento della risoluzione sul disarmo[57] fa nuovamente appello a tutti gli Stati ad aderire alla Convenzione, li invita a partecipare alla Conferenza di Maputo del maggio 1999 sullo stato del Trattato ed  evidenzia i tre settori che richiedono un intervento prioritario:

-         riabilitazione e reintegrazione socio-economica delle vittime ;

-         campagna di informazione sulle mine ;

-         sminamento e distruzione degli stock.

La risoluzione sullo sminamento[58] prende nota delle numerose conferenze internazionali sulla messa al bando delle mine antiuomo  che si stanno svolgendo nel mondo. Nello stesso testo l’Assemblea saluta la nascita dello “United Nations Mine Action Service” (UNMAS), il primo ufficio dell’ONU addetto alla eliminazione delle mine e inserito nel “Department of Peacekeeping Operations”.

 

Nel 1999, infine, la risoluzione sull’applicazione della Convenzione di Ottawa[59] ne ricorda l’entrata in vigore avvenuta il 1 marzo dello stesso anno. Richiama la Dichiarazione di Maputo del 7 maggio[60], con cui si era concluso il primo appuntamento di verifica dello stato del trattato e dà appuntamento per il secondo: Ginevra 11-15 settembre 2000. Le Nazioni Unite erano poi costrette ad evidenziare con dispiacere che le mine antiuomo continuano ad essere utilizzate nei conflitti presenti sul pianeta.

 

Come già sottolineato più volte nel corso del presente capitolo, le Nazioni Unite hanno svolto un ruolo di secondo piano nel processo che ha portato alla messa al bando delle mine antiuomo. È sufficiente esaminare i contenuti delle risoluzioni sopra citate per rendersi conto di come l’Assemblea Generale sia stata costretta a recepire input che arrivavano dall’esterno. Anche quando, nel 1996, è stata presentata al Segretario Generale la richiesta di preparare un programma di intervento per arrivare a mettere fuori legge le mine, i protagonisti del Processo di Ottawa erano già andati oltre, cominciando la stesura del trattato ultimata poi a Oslo il 1 settembre dell’anno successivo, quando cioè l’Assemblea Generale non aveva nemmeno avuto il tempo di ritrovarsi per una nuova sessione di lavori.

Il ruolo delle Nazioni Unite può però adesso diventare di primissimo livello; è anzi vitale, per l’effettiva realizzazione dei progetti di Ottawa, che la più importante assise mondiale supporti con forza il sogno di un mondo liberato dalle mine.

 

Altri organi, uffici ed agenzie delle Nazioni Unite hanno trattato il problema delle mine antiuomo (in particolare Consiglio Economico e Sociale – UNHCR – UNICEF – UNIDIR – WHO), ma i provvedimenti dell’Assemblea Generale forniscono, per questo lavoro, un quadro esaustivo dell’impegno dell’ONU nel settore.

Per quanto riguarda invece il Consiglio di Sicurezza, il suo apporto si riduce ad una sola risoluzione del 1999[61] in cui si limita a prendere nota dell’entrata in vigore del Trattato di Ottawa e a richiamare i benefici effetti che la sua attuazione porterà per la salvaguardia dei civili.

Vale solo la pena ricordare che tre dei cinque membri permanenti, con diritto di veto, non aderiscono al Trattato di Ottawa e che due di essi occupano i primi due gradini del podio nella produzione di mine: Russia e Cina.

 

 

2 . 4 – Gli sviluppi di Ottawa

 

2 . 4 . 1 – Dicembre 1998

 

Verso la fine del 1998, il Governo canadese si è preoccupato di stendere un Rapporto[62] sui risultati ottenuti dal Processo di Ottawa ad un anno di distanza dalla firma del trattato.

Le ratifiche avevano ormai superato la fatidica quota 40 e l’entrata in vigore della Convenzione era attesa per il 1 marzo 1999. Si trattava di un’analisi predisposta in un momento in cui il bando sulle mine antiuomo non era ancora vincolante per nessun Paese al mondo. I risultati ottenuti erano dunque il frutto della buona volontà dei Governi che avevano cominciato a dare applicazione a norme cui si erano vincolati, ma non ancora in vigore.

 

Il Trattato di Ottawa contava 133 firme e 52 ratifiche.

Nel corso dell’ultimo anno si erano registrate conferenze internazionali sulle mine in Giordania, Jugoslavia, Russia, Tailandia e Ungheria.

Belgio, Canada, Francia, Gran Bretagna, Sud Africa e Ungheria avevano già distrutto la quasi totalità di mine accumulate nei magazzini. Cambogia, Namibia, Romania, Tailandia e Zimbabwe avevano predisposto i piani di distruzione degli stock e anche alcuni Paesi non firmatari avevano cominciato un processo di eliminazione degli ordigni: Russia, Stati Uniti e Ucraina.

I programmi di sminamento erano diventati più efficienti, grazie a una maggiore disponibilità finanziaria e alla ristrutturazione degli uffici dell’ONU impegnati sul fronte delle mine. Dieci Stati donatori avevano lanciato 98 nuovi programmi per la bonifica di aree minate in 25 Paesi.

In alcuni territori si registrava un sensibile calo delle vittime: solo 2 morti in Nicaragua in tutto il 1998, gli incidenti da mina in Bosnia erano passati da 90 a 18 in un anno e in Cambogia le  vittime mensili diminuivano da 230 a 100. Restavano ancora scarsi i programmi di reintegrazione sociale delle vittime e alta la richiesta di protesi per i mutilati.

Particolarmente positivi i dati riportati sul fronte del commercio delle mine. Il numero dei Paesi produttori passava dai 50 di tutto il secondo dopoguerra a meno di dieci nel 1998 e anche i tre “colossi” fuori dal processo di pace (Cina – Russia – Stati Uniti) avevano adottato almeno una moratoria sull’esportazione di particolari tipi di mine.

 

Il consuntivo canadese si concludeva con alcune note dolenti :

-         l’allarme per nuove mine posate in Angola e Kosovo ;

-         la denuncia di eccessivi ritardi nel far pervenire i finanziamenti alle organizzazioni incaricate dello sminamento; i soldi vengono bloccati da pratiche amministrative lente, che non consentono di rispettare i tempi concordati per gli interventi.

 

“Si le bilan de l’action contre les mines est positif pour la première année de la Convention, nous devons tempérer notre satisfaction en admettant qu’il reste bien de problèmes à surmonter”[63].

 

2 . 4 . 2 – La Conferenza di Maputo – Maggio 1999

 

Tre mesi dopo l’entrata in vigore della Convenzione per la messa al bando delle mine antiuomo, si è svolta la prima conferenza sullo stato del trattato.

Questo appuntamento è servito sostanzialmente a tre cose :

-         salutare in maniera solenne l’entrata in vigore del Trattato di Ottawa ;

-         predisporre alcune  commissioni di lavoro per l’anno successivo ;

-         reiterare l’impegno per un’effettiva eliminazione delle mine.

 

Come abbiamo già visto al paragrafo 2.2.2, il Trattato di Ottawa prevede incontri annuali tra le Parti (art.17, commi 1 e 2). L’appuntamento in Mozambico era dunque un atto dovuto e rappresentava il primo incontro dopo l’entrata in vigore della Convenzione.

La Conferenza ebbe luogo dal 3 al 7 maggio 1999, preceduta da  due riunioni preliminari a Ginevra nei mesi di marzo e aprile.

Lo scopo dell’incontro era di valutare il funzionamento della Convenzione, analizzare le reazioni della Comunità Internazionale all’emergenza mine e predisporre un piano d’azione per l’anno seguente. Punti all’ordine del giorno[64]:

-         sminamento ;

-         aiuti alle vittime ;

-         reintegrazione sociale ed economica ;

-         tecniche d’azione contro le mine ;

-         programmi di sensibilizzazione sul problema mine ;

-         distruzione degli stock.

 

Al tavolo di Maputo sedevano 43 dei 55 Stati già vincolati al trattato, 18 Stati che avevano da poco depositato la ratifica e altri 48 ancora fuori dal contesto normativo[65]. Il quadro veniva poi completato da numerose Organizzazioni Internazionali e Non Governative[66].

 

Il 3 maggio Joaquim Alberto Chissano, Presidente della Repubblica del Mozambico, diede l’avvio ai lavori.

Dopo aver dato il benvenuto a tutti i presenti, il presidente legge un breve discorso che esalta i risultati raggiunti dal Processo di Ottawa, ma ricorda anche che l’entrata in vigore di un trattato contro le mine rappresenta solo il primo passo verso la loro effettiva eliminazione.

Il presidente Chissano si sofferma sull’importanza cruciale degli aiuti alle vittime delle mine antiuomo, considerato uno dei compiti primari della Comunità Internazionale. La variazione del numero delle vittime costituisce, a suo avviso, uno dei parametri fondamentali per valutare gli effettivi progressi del processo di pace. Accanto a questo parametro pone poi la percentuale di terre recuperate allo sfruttamento agricolo e il ripristino delle normali condizioni di vita delle comunità colpite dall’emergenza mine.

Assolutamente drammatico il passaggio del discorso dedicato allo sminamento. Il presidente del Mozambico  ribadisce con forza l’impegno del suo Paese a rispettare la scadenza del 2009 per l’eliminazione delle mine disseminate sul territorio e invita tutti al massimo impegno nella ricerca di nuove tecniche di sminamento, più efficaci e meno costose di quelle esistenti. Le sue parole sembrano molto coraggiose se consideriamo che sono state precedute dal seguente passo:

 

Comme trois générations de mines terrestres ont été mises en place sur notre territoire et que, fait aggravant, les cartes qui devraient permettre de les repérer sont pour la plupart inexactes, la population vit dans l’incertitude et la crainte permanente, ce qui l’empêche d’exploiter efficacement de vastes zones de terres arables. Il y a selon certaines études environ 2 millions de mines terrestres au Mozambique alors qu’on ne les enlève et ne les détruit qu’à raison de 11.000 par an. À ce rythme, il faudra environ 160 ans pour les éliminer toutes ![67] ”.

 

J. A. Chissano conclude il suo discorso invitando tutti a ripartire da Maputo ancora più determinati a compattare l’alleanza tra gli Stati e la società civile nella grande battaglia contro le mine.

 

Terminato il discorso di apertura la conferenza predisponeva l’ordine dei lavori, articolandolo in 7 sessioni. Al tavolo della presidenza sedeva Leonardo Santos Simão, Ministro degli Affari Esteri del Mozambico.

 

Gli interventi del Ministro degli Esteri canadese e di Stephen Goose (capo delegazione di ICBL) ci permettono di capire quale fosse il quadro della situazione a inizio lavori.

Entrambi gli interventi si felicitano per i rapidi e concreti obbiettivi raggiunti grazie al Processo di Ottawa; in particolare Lloyd Axworthy osserva come l’impegno della Comunità Internazionale per creare una Corte Internazionale per i crimini di guerra sia stato potenziato dall’impegno per la messa al bando delle mine.

I due relatori forniscono molti dati e si soffermano sulle note dolenti. Il ministro spiega come il bando sulle mine abbia dato fastidio a parecchia gente, impegnata in una campagna denigratoria contro il trattato. Entrambi i relatori hanno parole molto dure nei confronti di Paesi firmatari che hanno però continuato a utilizzare le mine sul terreno, e cioè Angola, Guinea-Bissau, Senegal ed Etiopia. Unanimità di giudizio anche nel ritenere che sia molto più sensato sminare territori in Paesi che aderiscono alla convenzione, che non in luoghi dove sussiste il pericolo di una nuova posa di mine.

Differenze sensibili si registrano invece nelle stime fornite nei due interventi:

Lloyd Axworthy parla di un commercio di mine praticamente azzerato, stima nel numero di 9 i Paesi che ancora si dedicano alla produzione, parla di una sensibile diminuzione del numero delle vittime e calcola 14 milioni di mine distrutte dagli stock di 20 Paesi.

Stephen Goose fornisce invece dati più allarmanti: nell’ultimo anno segnala 13 conflitti in cui sono state usate le mine[68], riduce a 12 milioni il numero di quelle eliminate dagli stock e soprattutto porta a 16 il numero dei Paesi produttori, pur concordando sul fatto che il commercio internazionale di mine sia sceso a livelli minimi (unica eccezione è l’Iraq)[69]. Mr. Goose parla inoltre di 250 milioni di mine ancora presenti nei magazzini.

I due relatori chiudono il loro intervento segnalando i settori primari di intervento.

Lloyd Axworthy :

-         convincere chi ancora pensa che queste armi siano essenziali nella difesa dei confini nazionali, che esistono soluzioni più efficaci e soprattutto in grado di non confondere il piede di un bambino con quello di un contrabbandiere o di un terrorista ;

-         convincere chi crede nei vantaggi militari procurati dalle mine, a rendersi comunque conto dei danni permanenti che procurano alla popolazione civile anche dopo un conflitto ;

-         continuare a fornire aiuti statali ai programmi di sminamento e assistenza alle vittime, ma coinvolgere in questo anche i settori produttivi della società ;

-         la nuova sfida ora consiste nel rendere operativa la Convenzione.

Stephen Goose (ICBL) :

-         il numero di Paesi che ha adottato una legislazione interna contro le mine è ancora troppo basso, servono leggi chiare e sanzioni penali per i trasgressori;

-         inserire nel bando anche le mine anticarro dotate di dispositivo anti-manomissione ;

-         vietare l’uso delle mine nelle missioni multilaterali della NATO, i cui componenti hanno tutti raggiunto il Trattato di Ottawa ad eccezione di Stati Uniti e Turchia[70] ;

-         massima allerta per quelle mine antiuomo presenti nelle basi americane dislocate in almeno 7 Stati parte della Convenzione.

 

 

La Conferenza di Maputo si chiude con l’adozione di un Rapporto Finale diviso in due parti: Organizzazione e lavori della prima Assemblea e Dichiarazione di Maputo.

Le prime quattro sessioni plenarie sono state dedicate a uno scambio di vedute generale.

La quinta sessione era dedicata alle domande che gli Stati possono presentare annualmente ex artt. 5 e 8 del trattato. Il primo articolo riguarda le richieste di proroga dei termini di sminamento oltre i dieci anni, il secondo le facilitazioni e i chiarimenti sull’esecuzione del trattato: il Presidente ha informato l’Assemblea che nessuna richiesta era stata avanzata.

Altri spazi all’interno delle sessioni sono stati dedicati all’organizzazione del lavoro per l’anno seguente. Cinque commissioni si metteranno al lavoro a partire da dicembre, avvalendosi di comitati permanenti di esperti sulle seguenti questioni :

-         Sminamento[71] ;

-         Assistenza alle vittime, reintegrazione sociale ed economica e sensibilizzazione sui pericoli causati dalle mine[72] ;

-         Distruzione degli stock[73] ;

-         Tecniche di sminamento[74] ;

-         Stato di funzionamento della Convenzione[75].

Il Rapporto si chiude dando appuntamento a tutti a Ginevra: 11-15 settembre 2000.

 

La Dichiarazione di Maputo presenta con estrema chiarezza la determinazione dei convenuti a proseguire il lavoro: l’obbiettivo finale è quello di un mondo liberato da tutte le mine antiuomo e di un numero di vittime che scenda a quota Zero.

 

Al punto 4 vengono riprese le parole del presidente Chissano, riconoscendo che il Trattato di Ottawa non avrà alcuna utilità nel lungo periodo se non vengono messe realmente in pratica le disposizioni che vi sono contenute :

-         impedire l’ulteriore impiego di mine ;

-         eliminare gli stock ;

-         cessare la produzione ;

-         bonificare le zone minate ;

-         aiutare le vittime a riprendersi la loro vita.

 

I punti 5, 6, 7, 8 e 9 contengono appelli generalizzati affinché :

-         tutti i Governi e gli individui singolarmente raggiungano il processo di pace ;

-         chi produce ancora mine smetta immediatamente ;

-         chi dispone di risorse fornisca aiuto tecnico e finanziario.

 

Il punto 11 esprime la profonda indignazione nei confronti di chi continua a fare uso di mine, che non hanno ancora diminuito i propri effetti devastanti nelle aree di conflitto presenti sul pianeta. Particolarmente duro il richiamo ai Paesi firmatari che hanno fatto uso di mine tra il 1997 e il 1999: le loro azioni sono segnate come attentati alla Convenzione di Ottawa.

 

Di fondamentale importanza il punto 12, dove si dichiara che verrano forniti aiuti “essenzialmente” a quei Paesi che avranno rinunciato per sempre all’uso delle mine e ratificato la Convenzione.

 

I punti 14 e 15 si occupano degli interventi sanitari a favore delle vittime e della loro reintegrazione sociale. Si chiede l’inserimento di tali interventi nei programmi di sviluppo socio-economico e di salute pubblica.

La Dichiarazione si conclude con queste parole:

 

Nous sommes résolus à réussir dans notre tâche commune.

Nous sommes résolus à travailler en partenariat à cette fin.

Nous sommes résolus à appliquer le principe du droit international humanitaire, énoncé dans le dernier alinéa du préambule de la Convention, selon lequel  -…le droit des parties à conflit armé de choisir des méthodes ou moyens de guerre n’est pas illimité…-.

Tel est le ferme engagement que nous prenons envers les futures générations.”[76].

 

 

CONCLUSIONI Sezione I

 

Le mine antiuomo sono un’invenzione di vecchia data. In principio avevano la funzione di difesa delle installazioni militari, di impedimento all’accesso alle mine anticarro e di sentinella a tempo pieno di fronte alle trincee per impedire un’avanzata silenziosa del nemico. Ma col passare degli anni e con i cambiamenti apportati alla strategia militare, lo stesso strumento è stato impiegato in maniera molto diversa, fino a diventare arma di distruzione di massa al “rallentatore”[77] e “a basso costo”[78], molto produttiva in guerre combattute in zone povere del pianeta che si protraggono per parecchi anni.

Oggi la situazione vede oltre 110.000.000 di mine interrate in una settantina di Paesi diversi, 250.000.000 di mine ferme nei magazzini e produttori che ancora non hanno fermato le catene di montaggio.

Di fronte a questo stato di cose, alcuni Governi si sono mossi fin dagli anni ’70 per porre freno all’uso indiscriminato degli ordigni. All’inizio degli anni ’80 si è passati da un regime di totale libertà nell’uso delle mine a un regime di regolamentazione. Questo cambiamento è però rimasto solo sulla carta e non si è fatto sentire nei villaggi minati dell’Africa o dell’Estremo Oriente. Gli stessi protagonisti di quel primo timido disegno di norme si sono resi conto subito che il Protocollo II alla CCAC andava ritoccato se si voleva porre freno al massacro che le mine stavano producendo nel mondo. Gli emendamenti del 1996 dovevano essere una risposta a tale esigenza, ma in realtà non fecero altro che complicare un testo di un trattato, senza per questo fornirgli alcuna efficacia. E’ stato forse l’ultimo disperato tentativo di fermare il processo che stava rapidamente convincendo la Comunità Internazionale della necessità di bandire le mine antiuomo.

Il Protocollo II alla CCAC, come emendato nel 1996, chiede ai combattenti sul campo di usare le mine antiuomo in modo da renderle “prevedibili”, mentre la loro ragion d’essere risiede proprio nell’impossibilità di prevedere come e quando andranno ad attivarsi ed è questo a fare delle mine delle armi micidiali. Si chiede inoltre di tenere i civili fuori dai conflitti armati, mentre si sa che i civili sono l’obbiettivo di chi fa una guerra. Se il testo del 1996 si fosse limitato a regolamentare livelli massimi di utilizzo delle mine o se si fosse preoccupato soltanto di determinare un quantitativo standard di metallo da inserire nelle mine per renderle evidenti al passaggio di un metal detector, avrebbe forse una sua base di credibilità. Ma il Protocollo non ha queste intenzioni, scade nel ridicolo quando prevede l’impiego di sistemi di autodistruzione delle mine e di segnalazione dei campi minati; riusce solo a offendere la dignità di chi convive giornalmente con le mine antiuomo, quando finge di regolamentarne l’uso senza intaccarne la logica. L’emendato Protocollo II alla CCAC è stato concepito con un’ipocrisia pari a quella di chi scrive leggi che vietano di far viaggiare un veicolo a più di 130 chilometri orari, mentre permette di costruire macchine capaci di correre a velocità doppia.

 

Le mine servono per colpire civili e massacrare bambini: se questa strategia di guerra è accettabile le mine devono essere utilizzate, ma se così non è non si può fare altro che abolirle. Su questa strada si sono incamminate le ONG che hanno dato l’avvio al Processo di Ottawa e ora bisogna cercare di capire come rendere effettive e universalmente rispettate le regole sottoscritte nella capitale canadese nel 1997.

Molte voci cercano di ricucire lo strappo tra i sostenitori della CCAC e quelli del Trattato di Ottawa, considerando che i due testi possono convivere e completarsi a vicenda. Molto chiara da questo punto di vista è la posizione del governo finlandese, che scrive:

 

The task force propose that Finland seek to ratify the amended Protocol II of the 1980 Certain Conventional Weapons Convention (CCW) in early 1998 and that to work for making it enter into force internationally by late 1998 with the participation of as many countries as possible.

The task force emphasizes that Protocol II of the 1980 CCW is a significant international norm which already prohibits the indiscriminate use of anti-personnel landmines. The amended Protocol II in no way contradicts the objective of a total ban. It is important that all countries commit themselves to observe the Protocol while work towards a global ban on anti-personnel landmines continues. Joining the Ottawa Convention must not become a justification for not adhering to the Protocol which already bans the indiscriminate use of anti-personnel landmines unequivocally[79].

 

Questa analisi contiene due contraddizioni che non possono essere condivise.

Prima di tutto si sostiene che la CCAC (o CCW nella sigla in lingua inglese) proibisce l’uso indiscriminato delle mine, ma le mine sono armi indiscriminate e quindi l’affermazione non sta in piedi.

In secondo luogo il governo finlandese sostiene che la CCAC non contraddice gli obbiettivi del Trattato di Ottawa, ma il primo testo regolamenta, mentre il secondo vieta, l’uso delle mine e le due cose non possono stare insieme. Si regolamenta ciò che è legale, mentre un bando serve a mettere fuori legge qualcosa, non è possibile regolamentare e vietare contemporaneamente l’uso delle mine. Sarebbe un po’ come vietare il possesso, la produzione e lo spaccio della cocaina e poi scrivere una legge che ne regolamenti l’uso, la lavorazione e la vendita.  

La posizione del governo di Helsinki è condivisa anche da molti Stati che hanno aderito a Ottawa, mentre non trova l’appoggio dei governi che hanno sostenuto con forza la messa al bando delle mine, ne quello dell’ICRC e delle ONG.

Da parte di chi scrive l’emendato Protocollo II alla CCAC non può nemmeno essere considerato come un auspicabile gradino intermedio tra il libero impiego delle mine antiuomo e la loro messa al bando, perché il testo del 1996, proprio per la sua formulazione ambigua e inapplicabile, non costituisce un freno alle stragi causate dall’uso degli ordigni e finisce soltanto per fornire presentabilità alle posizioni di Paesi come la Cina, l’India o gli Stati Uniti che non intendono aderire al bando sulle mine.

Questo lavoro si occuperà quindi di analizzare quali siano oggi le ricette proposte da Stati e ONG per giungere a un’effettiva eliminazione delle mine antiuomo, riconoscendo il Trattato di Ottawa come l’unico strumento del Diritto Internazionale concepito per il realizzarsi di questo obbiettivo.   


[44] Assemblea Generale ONU – Risoluzione 48/75K.

[45] Assemblea Generale ONU – Risoluzione 49/75D.

[46]Encourages further international efforts to seek solutions to the problems caused by anti-personnel land-mines, with the view to their eventual elimination”. Art.6.

[47] Assemblea Generale ONU – Risoluzione 50/70O.

[48]Also recalling with satisfaction its resolution 49/75D, in which it, inter alia, established as a goal of international community the eventual elimination of anti-personnel land-mines,”. Preambolo. 

[49] Assemblea Generale ONU – Risoluzione 50/74.

[50] Assemblea Generale ONU – Risoluzione 51/45S.

[51] Assemblea Generale ONU – Risoluzione 51/149.

[52] Assemblea Generale ONU – Risoluzione 51/8.

[53] Assemblea Generale ONU – Risoluzione 52/38A.

[54] Arabia Saudita, Armenia, Bahrain, Bhutan, Bielorussia, Emirati Arabi Uniti, Eritrea, Estonia, Finlandia, Georgia, Kuwait, Kyrgyzstan, Lettonia, Libano, Nepal, Oman, Papua Nuova Guinea, Singapore, Sri Lanka e Uzbekistan. Nessuno votò contro. Tra gli astenuti Cina, Russia e Stati Uniti.

[55] Assemblea Generale ONU – Risoluzione 52/173.

[56] Si trattava del Burkina Faso, che depositò lo strumento di ratifica presso il Segretario Generale dell’ONU  il 16 settembre 1998.

[57] Assemblea Generale ONU – Risoluzione 53/77N.

[58] Assemblea Generale ONU – Risoluzione 53/26.

[59] Assemblea Generale ONU – Risoluzione 54/54B.

[60] Vedi paragrafo 2.4.2.

[61] Consiglio di Sicurezza ONU – Risoluzione 1265 (1999).

[62] MAECI Canada – Safe Lane – La Convention d’Ottawa un an après, quel en est le bilan?    Ottawa 2 dicembre 1998.

[63] MAECI Canada – Safe Lane  - La Convention d’Ottawa un an après, quel en est le bilan? -  Ottawa 2 dicembre 1998. – p.5 - cit..

[64] Cfr. MAECI Canada –  Qu’est-ce la première Assemblée des États parties ? www.mines.gc.ca/french/new/what-f.htm .

[65] Di particolare rilevanza la presenza di 13 Stati che non avevano nemmeno firmato il trattato: Cina, Cuba, Finlandia, Georgia, Israele, Libia, Kazakhstan, Marocco, Nepal, Singapore, Sri Lanka, Tanzania e Turchia.

[66] La lista dei partecipanti alla Conferenza di Maputo è disponibile in : ICBL – Report on Activities, First Meeting of States Parties to the 1997 Convention on the Prohibition of the Use, Stockpiling, Production and Transfer of Anti-Personnel Mines and their Destruction. Maputo, Mozambico 3-7 Maggio 1999. pp. 69-109. Cit...

 

[67] Allocution prononcée par S. E. M. Joaquim Alberto Chissano, le Président de la République du Mozambique, à la séance d’ouverture de la première Assemblée –  Maputo, 3 maggio 1999 – www.mines.gc.ca/french/new/chissanostatement-f.htm .

[68] Vedi – ICBL Landmine Monitor, Report 1999 – Landmine Monitor, pp. 4-5.

[69] Vedi – ICBL Landmine Monitor, Report 1999 – Landmine Monitor, p. 10. Cit..

[70] Non esistono prove che gli Stati Uniti abbiano fatto uso di mine antiuomo nel corso della guerra in Jugoslavia nel 1999, ma si erano esplicitamente riservati il diritto di farlo. Questi dati sono forniti dallo stesso Stephen Goose nel suo discorso di Maputo.

[71] Commissione presieduta da Mozambico e Gran Bretagna, relatori Perù e Olanda.

[72] Commissione presieduta da Messico e Svizzera, relatori Nicaragua e Giappone.

[73] Commissione presieduta da Ungheria e Mali, relatori Malesia e Slovacchia.

[74] Commissione presieduta da Cambogia e Francia, relatori Yemen e Germania.

[75] Commissione presieduta da Sud Africa e Canada, relatori Zimbabwe e Belgio.

[76] Déclaration de Maputo – Maputo, Mozambico – 7 maggio 1999 –

www.mines.gc.ca/french/new/declaration-f.htm .

[77] Espressione molto felice tratta dalla Croce Rossa Italiana Comitato di Monza.

[78] Altra espressione molto chiara tratta dall’intervento del dottor Paolo Busoni (esperto di storia militare e membro di Emergency) alla Scuola Holden di Torino il 18.05.2000. Gli esperti del MAG, impegnati nei lavori di bonifica in Cambogia, calcolano in $3 il costo di una mina e in $300 il costo unitario di sminamento (informazione presa da “La macchina del tempo” – trasmissione televisiva andata in onda su Rete 4 il 17.07.2000).

[79] Questo estratto fa parte di un documento presentato al Ministro degli Esteri finlandese Ms Tarja Halonen il 16.12.1997 (ULKOASIAINMINISTERIÖ Press), da un task force creata dallo stesso ministero per studiare i passi da compiere per giungere all’adesione della Convenzione di Ottawa. Il gruppo di lavoro è costituito esperti dei ministeri di esteri e difesa.