CAPITOLO II
Libero impiego, regolamentazione e bando
(segue)

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2 . 2 . 1 – Il Processo di Ottawa

 

“Processo di Ottawa” è il nome che è stato dato al movimento internazionale per la messa al bando delle mine antiuomo, formato da ICBL e da alcuni Governi (capitanati dal Canada). Ottawa è la città che ha visto nascere questo agglomerato di forze ed è anche la sede dove è stato successivamente firmato il Trattato per la messa al bando delle mine.

 

A partire dai primi anni ’90, l’allarme mine antiuomo è stato lanciato a più riprese dai rappresentanti di diverse ONG, che, lavorando in Cambogia, Afghanistan, Angola, Ecuador, ecc., avevano giornalmente sotto i loro occhi gli effetti delle mine antiuomo, sia sul tessuto sociale delle popolazioni, che sul corpo di bambini straziati.

Nell’ottobre del 1992, sei ONG si sono riunite sotto lo slogan “Joint Call to Ban Anti-Personnel Landmines”[28]:

      -     Handicap International                             (HI)          

-         Human Rights Watch                                       (HRW)

-         medico international                                         (MI)

-         Mines Advisory Group                          (MAG)

-         Physicians for Human Rights                          (PHR)

-         Vietnam Veterans of America Foundation   (VVAF)

 

nasceva così il primo nucleo della campagna internazionale contro le mine.

 

Nel febbraio del 1993 fu proprio Handicap International a fare pressioni sul presidente Mitterand per richiedere una conferenza di revisione della CCAC. ICBL non condivideva la logica secondo la quale le esigenze militari hanno la precedenza sui diritti delle popolazioni civili e, con l’aiuto di ICRC, presentò a Mitterand un’ampia documentazione che provava inoltre come le mine antiuomo non costituiscano un potenziale militare efficace, mentre colpiscono quasi esclusivamente i civili[29]. Come abbiamo già visto, Mitterand diede seguito a quella richiesta, ma la conferenza non venne convocata prima della fine del 1995 e i risultati non furono soddisfacenti. Nel frattempo le ONG continuarono il loro cammino, in direzione ben diversa da quella delle Nazioni Unite (che non fecero comunque mai mancare il loro sostegno).

Nel maggio del 1993 si tenne la prima conferenza tra le organizzazioni che avevano raggiunto ICBL; a quel punto i partecipanti erano 40 e raddoppiarono l’anno seguente. Per coordinare il gruppo  fu scelta Jody Williams del VVAF. Nel frattempo anche la Croce Rossa Internazionale si schierava in maniera decisa contro le mine, mettendo in campo il potenziale di una struttura fatta di migliaia di persone presenti in tutti i Paesi del mondo e avvalendosi dei propri esperti nei settori giuridico, medico e militare[30].

Nel 1995 e nella prima metà del 1996 continuarono i momenti di incontro di ICBL e il numero dei partecipanti cresceva oltre le 400 unità. Accanto a questi momenti solenni, venivano organizzate manifestazioni di vario tipo a beneficio dell’opinione pubblica e con l’intento di raccogliere i fondi necessari a finanziare la Campagna.

 

Le piccole iniziative sul territorio costituiscono un altro dei pilastri imprescindibili per il successo del bando sulle mine. L’argomento verrà trattato in maniera più diffusa in seguito, ma è fondamentale tenere presente l’importanza del coinvolgimento dell’opinione pubblica nel meccanismo che stiamo ricostruendo.

 

Il 1996 è stato l’anno di svolta per la Campagna internazionale contro le mine.

Nel corso delle trattative sulla revisione del Protocollo II della Convenzione del 1980, il governo canadese ha invitato il MAC[31] (Mines Action Canada – ONG) a collaborare con i suoi delegati ufficiali e pochi giorni dopo convocava, per l’ottobre dello stesso anno, una conferenza per studiare una strategia per la messa al bando delle mine antiuomo, invitando al tavolo gli Stati, le Organizzazioni Internazionali e le ONG interessate.

Questa mossa canadese potrebbe sembrare di poco conto, ma è in realtà un riconoscimento importantissimo per il lavoro delle ONG e una decisione molto coraggiosa e lontana dalle abituali vie percorse dalle relazioni internazionali. Il Ministro degli Esteri austriaco Thomas Hajnoczi ricorda così quel momento:

 

That was the first time to my knowledge the NGOs were sitting at the negotiating table. It was a tremendous factor and that of course was possible because the ICBL is such a well structured coalition of NGOs”[32].

 

Le parole del Governo canadese erano state precedute da una moratoria sulla produzione, l’utilizzazione e il trasferimento delle mine terrestri. Con questa decisione il Canada seguiva l’esempio di Belgio, Norvegia e Austria. A questi Paesi si aggiunsero presto la Danimarca, l’Irlanda, il Messico e la Svizzera: questi otto Stati furono i primi a fornire un sostanziale appoggio alla Campagna contro le mine. 

 

Il 3 ottobre 1996 cominciò a Ottawa la conferenza intitolata “Vers l’interdiction complète des mines antipersonnel[33]”, che segna la nascita ufficiale del Processo di Ottawa.

Al termine dei lavori il Ministro degli Esteri canadese, Lloyd Axworthy, dava appuntamento nella stessa città per il dicembre 1997 (14 mesi dopo), per firmare il trattato sulla messa al bando delle mine. Più tardi il ministro si esprimerà così:

 

So, we decided to take the risk, to issue a challenge which broke most of the normal conventions of the way you do things. But it worked and I think  it does demonstrate how you can make changes internationally by at times breaking the old  moulds”[34].

 

Terminati i lavori della prima Conferenza di Ottawa e delineate le linee guida del lavoro, che sarebbero poi diventate le linee guida dello stesso Trattato, il processo proseguì per tappe forzate:

 

Vienna             12 febbraio 1997

Maputo            25 febbraio 1997

Tokyo                6 marzo    1997

Harare             20 aprile     1997

Bonn                24 aprile     1997

Kepton Park            19 maggio  1997

Turkmenistan            10 giugno   1997

Bruxelles            24 giugno   1997

Sidney              14 luglio     1997

Manila              20 luglio     1997

New Delhi            13 agosto    1997

Oslo                1 settembre 1997

Yemen             3 settembre 1997

 

La Conferenza per la firma della Convenzione sulla messa al bando delle mine antiuomo ebbe luogo, come previsto, dal 2 al 4 dicembre 1997 a Ottawa. Il testo definitivo era stato redatto nell’incontro di Oslo.

Nell’arco di quattordici mesi gli 8 Paesi che avevano dichiarato guerra alle mine antiuomo si erano moltiplicati fino a raggiungere le 122 firme in calce al Trattato. Tre delle delegazioni presenti a Ottawa decisero inoltre di depositare immediatamente i loro strumenti di ratifica (Canada – Irlanda – Mauritius).

Nasceva così la:

 

Convention on the Prohibition of the Use, Stockpiling, Production and Transfer of Anti-Personnel Mines and on Their Destruction[35].

 

ovvero la Convenzione di Diritto Internazionale Umanitario che più rapidamente ha trovato un punto di incontro, tra un numero così elevato di Stati, in tutta la storia.

 

Il successo del Processo di Ottawa è facilmente comprensibile per chi si è trovato di fronte agli effetti delle mine antiuomo.

Riempire il mondo di mine è stato possibile finché è riuscito il gioco di tenere l’opinione pubblica all’oscuro della verità. Non appena le ONG hanno cominciato a svolgere il loro lavoro di informazione e a documentare gli orrori che le mine antiuomo compiono giornalmente in molti Paesi, le adesioni al processo di pace sono arrivate in maniera massiccia. Praticamente nessun Governo, nessun fabbricante d’armi e nessun gruppo di pressione ha fatto sentire pubblicamente la propria voce a difesa di questi ordigni. Le opposizioni ci sono state[36], ma in maniera molto sotterranea, spesso sotto forma di incomprensibili ragioni militari e di difesa interna spiegate con lo stesso ambiguo linguaggio che ha caratterizzato tutto il tentativo di regolamentazione dell’uso delle mine a partire dagli anni ’70.

Tutte le istituzioni che hanno un accesso privilegiato all’informazione e gli stessi organi di informazione erano a conoscenza dei danni che procurano le mine antiuomo. La situazione era chiara alle Forze Armate, ai Governi, al mondo della finanza, ai partiti politici e alle Chiese. Nessuno però ha mosso un dito finché il problema non è venuto fuori in tutta la sua drammaticità[37], grazie al lavoro delle ONG.

La situazione era ancora più grave in quei Paesi in cui queste istituzioni si reggono in un complicato gioco di equilibri di potere, intrecciandosi e confondendosi una con l’altra. In Italia, ad esempio, è facile comprendere come fosse difficile portare avanti una campagna contro le mine a metà degli anni ’90, se si pensa a quale dose di potere era concentrata nelle mani di una sola famiglia. Gli Agnelli, oltre al ruolo che da sempre hanno ricoperto in Confindustria,  detenevano in quegli anni il controllo dei più importanti organi di stampa ed erano leader in Italia nell’industria privata delle mine, il tutto mentre la signora Susanna Agnelli sedeva nelle assisi internazionali in qualità di Sottosegretario prima e Ministro degli Affari Esteri poi.

Innegabile invece il ruolo svolto da numerosi personaggi dello spettacolo, della cultura e dello sport per la pubblicizzazione del bando sulle mine, attraverso canali e con l’uso di strumenti di comunicazione particolarmente efficaci.

 

La Campagna Internazionale per la Messa al Bando delle Mine Antiuomo è pervenuta a un rapido successo perché le ONG hanno sottratto agli Stati l’iniziativa politica e coinvolto la gente attraverso una campagna d’informazione che prima era stata volontariamente omessa.

In secondo luogo, ICBL ha avuto il merito di portare sul proprio terreno alcuni Governi “coraggiosi”[38], creando una strana alchimia tra ONG e Stati che non ha precedenti.

Ma soprattutto la campagna contro le mine è arrivata in porto perché ha combattuto, e continua a combattere, una sacrosanta battaglia di civiltà: è sufficiente vedere i danni procurati al corpo di un bambino da una mina antiuomo per rendersi conto che non può esistere niente per cui valga la pena di pagare quel prezzo.    

 

Nell’ottobre del 1997 la “Campagna Internazionale per la Messa al Bando delle Mine Antiuomo” ha ricevuto il Premio Nobel per la Pace.

 

 

2 . 2 . 2 – Il Trattato di Ottawa - 1997

 

Il Trattato di Ottawa si compone di un Preambolo e di 22 articoli.

Il testo è molto snello, chiaro e capace di chiudere l’accesso a ogni scappatoia di carattere interpretativo. Vengono corretti alcuni “errori” commessi nella revisione del Protocollo II alla CCAC, cancellate le pericolose definizioni di “obbiettivo militare” e “campo minato” e finalmente il testo sembra scritto per eliminare le mine e non per coprire le spalle ai militari sul campo di battaglia.

 

L’art.1 fuga ogni dubbio sulle possibilità di utilizzo delle mine, che non possono mai essere usate, indipendentemente dal tipo di conflitto in corso, e non si limita a parlare di “uso”. Il trattato vieta di usare, sviluppare, produrre, acquisire, accumulare, conservare e trasferire mine antiuomo. È inoltre vietato aiutare, incoraggiare o indurre chiunque verso attività vietate dalla convenzione. Infine è obbligo degli Stati distruggere le mine che si trovano sul territorio sottoposto al proprio controllo, sia quelle conservate nei magazzini, che quelle interrate nel suolo.

 

Nell’arco di 4 anni dal giorno della sua entrata in vigore ogni Paese dovrà aver eliminato tutti gli stock di mine, con l’unica eccezione di un piccolo quantitativo che potrà essere mantenuto per l’addestramento del personale sminatore. Entro 10 anni dovranno invece essere bonificate tutte le “zone minate”. Qualora una delle Parti del trattato fosse in difficoltà nel portare a termine questo compito, l’art.5 prevede un meccanismo per la concessione di una proroga sottoposta all’approvazione delle altre Parti.

 

Vengono istituite misure di collaborazione e assistenza internazionale, nonché misure di trasparenza[39] nel compimento degli obblighi previsti dal testo. È previsto inoltre un meccanismo di verifica di tali obblighi, attraverso il costituirsi di una commissione di indagine su richiesta di uno Stato Parte nei confronti di un altro.

 

Di cruciale importanza l’art.9:

 

Chaque état partie prend toutes les mesures législatives, réglementaires et autres, qui sont appropriées, y compris l’imposition de sanctions pénales, pour prévenir et réprimer toute activité interdite à un état  partie en vertu de la présente Convention, qui serait menée par des personnes, ou sur un territoire, sous sa juridiction ou son contrôle”.

 

Accanto a questo strumento internazionale, lo stesso trattato chiede di adottare una legislazione specifica in ogni Paese che metta al bando le mine, consapevole della debolezza di una norma in mancanza di un apparato coercitivo e giudiziario. L’introduzione di singole leggi permette inoltre di prevedere misure più puntuali ritagliate sulle esigenze di ogni Paese. È infatti probabile che, per agevolare il processo di disarmo nei tempi previsti dal trattato, la legge interna di un Paese ex produttore di mine debba essere più dettagliata rispetto a quella di Paesi che non hanno mai avuto impianti industriali del genere sul proprio territorio.

 

La Convenzione prosegue prendendo in esame i seguenti argomenti:

-         Risoluzione delle dispute ;

-         Assemblee degli Stati (ogni anno) ;

-         Conferenze di revisione (ogni 5 anni) ;

-         Emendamenti ;

-         Spese da sostenere in occasione delle conferenze ;

-         Firma, Ratifica, Adesione, Entrata in vigore e Applicazione provvisoria ;

-         Riserve (totalmente vietate) ;

-         Durata (illimitata) e Recesso ;

-         Depositario ;

-         Testi autentici.

 

Oltre alle importanti disposizioni sul campo di applicazione, sugli obblighi di distruzione delle mine e sulle misure di trasparenza, sono da sottolineare altri tre aspetti.

 

L’art.6, al comma 3, parla esplicitamente di assistenza alle vittime delle mine:

 

Chaque état partie qui est en mesure de le faire fournira une assistance pour les soins aux victimes des  mines, pour leur réadaptation, pour leur réintégration sociale et économique ainsi que pour des programmes de sensibilisation aux dangers des mines… ”.

 

Il comma prosegue invitando gli Stati a chiedere la collaborazione dell’ONU, delle OI e delle ONG per i programmi di riabilitazione.

 

Gli artt. 11 – 12 – 13 danno ulteriore prova del ruolo che le Organizzazioni Non Governative hanno ormai conquistato nel panorama internazionale. Proseguendo nello spirito del Processo di Ottawa, questi articoli invitano le ONG al tavolo delle future conferenze sullo stato, la revisione e gli emendamenti al trattato.

 

L’art. 2, comma 1, fornisce infine un chiarimento definitivo sulla definizione di mina antiuomo, cancellando le ambiguità presenti nell’emendato Protocollo II alla CCAC.

 

Par - mine antipersonnel -, on entend une mine conçue pour exploser du fait de la présence, de la proximité ou du contact d’une personne et destinée à mettre hors de combat, blesser ou tuer une ou plusieurs personnes. Les mines conçues pour exploser du fait de la présence, de la proximité ou du contact d’un véhicule et non d’une personne, qui sont équipées de dispositifs antimanipulation, ne sont pas considérées comme des mines antipersonnel du fait de la présence de ce dispositif ”.

 

La definizione contenuta nel Protocollo II (1996) era quasi identica:

 

Par - mine antipersonnel -, on entend une mine principalement conçue pour exploser du fait de la présence, de la proximité ou du contact d’une personne et destinée à mettre hors de combat, blesser ou tuer une ou plusieurs personnes”.

 

Le mine anticarro non venivano nominate, ma veniva introdotto quel “principalement” (alla prima riga) capace da solo di dare ambiguità all’intero Protocollo[40].

Tecnicamente le mine possono aver funzione “antiuomo”, “anticarro” o “doppia funzione” (cioè essere attivate tanto da un essere umano che da un mezzo pesante). Nel testo del 1996 questa categoria a doppio uso restava in un limbo di difficile valutazione e sarebbe comunque stato sufficiente sostenere che una mina avesse principalmente funzione anticarro per non conformarsi agli obblighi del protocollo.

Con il Trattato di Ottawa vengono messe al bando tutte le mine comunque in grado di essere attivate da un essere umano e le sole mine “strettamente” anticarro restano utilizzabili.

Questo comma 1 all’art.2 rappresenta però anche una sconfitta del Processo di Ottawa. L’obbiettivo di molti, infatti, era quello di inserire nel bando anche le mine anticarro dotate di dispositivo anti-manomissione[41]. Tale dispositivo non consente allo sminatore di rendere inoffensiva la carica esplosiva della mina, utilizzando sistemi che reagiscono a qualunque tentativo di manipolazione e rimozione dell’ordigno, oppure attraverso sensori in grado di percepire variazioni di temperatura causate dalla presenza di un corpo umano. La presenza di questo dispositivo trasformerebbe di fatto queste mine in mine antiuomo[42].

 

Un’ultima annotazione riguarda il linguaggio del Trattato di Ottawa: la scelta delle parole e delle frasi così come sono state messe una accanto all’altra. Tutto è chiaro, conciso e perentorio nello spiegare “cosa” viene vietato e quali “obblighi” sono messi a carico degli Stati. Non c’è ambiguità. Il linguaggio è fondamentale e non viene determinato dalla capacità tecnica di chi è chiamato a redigere un testo, ma è piuttosto lo specchio della volontà di chi l’ha concepito. Il Trattato di Ottawa mostra  l’effettiva volontà di eliminare le mine antiuomo, così come la CCAC del 1980 mostra chiaramente l’assenza di volontà anche solo della regolamentazione di questi ordigni.

La chiarezza del linguaggio gioca inoltre un ruolo fondamentale per la credibilità di una materia tanto delicata quale il Diritto Internazionale Umanitario. In una disciplina che corre spesso il rischio di restare solo sulla carta, senza trovare applicazione nella pratica, diventa fondamentale arrivare al momento della codificazione solo quando esiste una forte convinzione su quello che si vuole regolamentare.  

 

Quelle descritte sono le principali caratteristiche del Trattato di Ottawa. In questa sede non pare necessario addentrarsi oltre. Per chi volesse approfondire la materia si consiglia la visione di una pubblicazione dell’ICRC presente sulla rete internet, dove vengono esaminati gli articoli nel dettaglio:   

 

Interdiction des mines antipersonnel: Le Traité d’Ottawa expliqué aux non-spécialistes”

www.icrc.org/icrcfre.nsf/c12562970032542a4125621200524882/0e17e64fb2d5e554412565cc002981ac?OpenDocument .

[28] MAECI Canada – Guide d’action sur les mines www.mines.gc.ca  - p.12 - cit.

[29] ICRC    Les mines terrestres antipersonnel – des armes indispensables ?Emploi et efficacité des mines antipersonnel sur le plan militaire –

www.icrc.org/icrcfre.nsf/6dc683e716df6159412562c900328ef8/1a28fb3d725e0e0e4125631b00482490?OpenDocument . cit.

[30] ICRC ha prodotto una mole notevole di documentazione sulle mine. Il materiale è disponibile al sito web www.icrc.org , dove le mine antiuomo vengono trattate sotto diverse voci del menu di navigazione.

[31]Au début, nous étions opposés à la position des membres du gouvernement, et avancions des informations pour les aider à formuler leur politique. Puis, avec le temps, nous avons davantage collaboré avec eux". "Nous avons mis sur pied une campagne d’intervention. Nous avons lancé une campagne d’écriture de lettres adressées au gouvernement américain, car nous souhaitions nettoyer tout ce gâchis – les mines trouvées étaient américaines". V. WARMINGTON – Mines Action Canada

in MAECI Canada – Guide d’action sur le mines – www.mines.gc.ca - cit.

Cfr. “Un pas à la fois: La campagne pour interdire les mines antipersonnelles" Video prodotto da Mines Action Canada e WETV con la collabborazione di Corvideocom – Marzo 1998. 

[32]One Step at a Time: The Campaign to Ban Land Mines” Video prodotto da Mines Action Canada e WETV con la collaborazione di Corvideocom – Marzo 1998. Cit..

[33] La lista dei partecipanti a questa conferenza è disponibile presso il MAECI Canada: - Towards a Global Ban on Anti-Personnel Mines – International Strategy Conference – Ottawa October 3-5, 1996 – List of Partecipants (State Delegations, International Agencies and Official Observers).  

[34] Vedi nota precedente.

[35] Vedi Allegato n.1.

[36] Cfr. capitolo 3 paragrafo 3.2.2.

[37] Cfr. tabelle capitolo 1 paragrafi 1.4.1 e 1.4.2.

[38] Quando il Ministero degli Affari Esteri canadese ha annunciato il suo impegno nella lotta alle mine, non sono mancate le opposizioni da parte dei colleghi del vicino Dipartimento di Stato USA. Robert Muller, del VVF, ricorda così quel momento: “I was in Washington shortly after the announcement came out of Ottawa to abandon the UN process and it was the canadian foreign ministry people that were going to meet with the State Department and I remember talking to them right after they came out, they were beaten up mercilessly, the US government state departement said «Who do you think you are? What are you doing?It’s over», but at least the Canadians held their ground, they hunked it down, they took the pounding and they went out and did it and they did an extraordinary job.”  Il passo è tratto da  One Step at aTtime: The Campaign to Ban Land Mines” Video prodotto da Mines Action Canada e WETV con la collaborazione di Corvideocom – Marzo 1998 – cit..

 

[39] Le misure di trasparenza sono disciplinate all’art.7 del trattato. Alla Conferenza di Maputo del 1999 è stato deciso di dare massima pubblicità ai provvedimenti degli Stati in esecuzione degli obblighi previsti da Ottawa, per seguire tali provvedimenti è sufficienti collegarsi al sito web http://dominio.un.org/Ottawa.nsf che pubblicizza tutti i documenti raccolti dal Segretario Generale delle Nazioni Unite in ottemperanza all’art.7.

[40] ICRC – “Interdiction des mines antipersonnel: Le Traité d’Ottawa expliqué aux non-spécialistes”- paragrafo 2.2 - www.icrc.org

[41] La traduzione è da attribuirsi a chi scrive. Il testo ufficiale della Repubblica Italiana, nella sua “traduzione non ufficiale”, riporta il termine dall’inglese senza tradurlo: “dispositivo anti-handling”. 

[42] Una lista di mine anticarro dotate di dispositivo anti-manomissione è presente in ICBL – Report on Activities, First Meeting of States Parties to the 1997 Convention on the Prohibition of the Use, Stockpiling, Production and Transfer of Anti-Personnel Mines and their Destruction. Maputo, Mozambico 3-7 Maggio 1999. pp. 36-37.

Vedi inoltre Human Rights Watch Fact Sheet – Prepared by Mark Hiznay and Stephen Goose for The First Meeting of the Standing Commitee of Experts on the General Status and Operation of the Convention (CCAC 1980) – 10-11 gennaio 2000 – il documento è presente al sito www.icbl.org nella sezione Online Documents.  

 

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