CAPITOLO V
EMERGENCY



(Life Support for Civilian War Victims)

5 . 1 – Carta d’identità

Emergency nasce a Milano nel 1994 da un’idea di un gruppo di medici capitanati dal dottor Gino Strada. L’obbiettivo dei suoi fondatori era quello di portare assistenza alle vittime civili delle guerre, ripensando gli interventi sanitari nelle zone di conflitto in funzione delle esigenze della popolazione civile.

Abbiamo visto nella trattazione precedente che la popolazione civile costituisce il vero obbiettivo delle guerre moderne, mentre quello del combattente è il mestiere più sicuro da svolgere nelle zone di conflitto. Per contro l’intervento sanitario nelle zone di guerra è spesso organizzato in funzione delle esigenze dei militari, con ospedali da campo che si spostano seguendo il fronte di battaglia. Emergency nasce per modificare questa logica e improntare i propri interventi alla creazione di strutture sanitarie stabili e durature, rivolte a zone di mondo in stato di guerra o che conoscono le conseguenze di una fase post-bellica, in cui le vittime civili sono destinate ad aumentare per la presenza di mine antiuomo sul terreno.

Gino Strada ha lavorato per parecchi anni nella Croce Rossa Internazionale come chirurgo di guerra e attraverso quell’esperienza ha maturato l’idea di un’associazione pensata con lo specifico obbiettivo di portare supporto sanitario alle popolazioni costrette a vivere in zone di guerra. Proprio le parole di ICRC confermano l’esigenza di associazioni come Emergency:

Les mines sont une source de préoccupation majeure pour les opérations de maintien de la paix des Nations Unies, et la nouvelle génération de chirurgiens militaires n’est pas formée aux techniques de chirurgie générale nécessaires pour le traitement des blessures par mine.

Quand quelqu’un marche sur une mine, il a peu de chances de recevoir les soins adéquats; toute personne essayant de lui porter secours est elle aussi immédiatement exposée au danger des autres mines. Il faudra peut-être des heures, voire des jours, avant d’atteindre la structure médicale la plus proche, même simple. Si la victime survit à ses blessures, que peut-elle espérer dans un tel pays, elle qui souffre d’une incapacité grave ? Même des béquilles risquent d’être trop coûteuses. Le voyage jusqu’à un centre d’appareillage orthopédique peut se révéler être une véritable expédition pour toute la famille. Qui paiera la prothèse si elle n’est pas fabriquée et mise en place gratuitement par une des organisations humanitaires ? Trouver un emploi est peu probable ; mendier dans les rues sera peut-être la façon la plus sûre d’avoir un revenu. Le divorce et l’exclusion sociale risquent de s’ajouter à l’opprobre et à l’indignité dont sont victimes les personnes frappées de handicaps dans un tel pays[1]”.

Questo brano sembra scritto appositamente per descrivere le scelte operative di Emergency, perché l’associazione svolge un’attività che finisce col rispondere puntualmente alle domande della Croce Rossa Internazionale.

L’obbiettivo iniziale della sua opera era quello di individuare zone del mondo colpite da un conflitto e dalla presenza di vittime da mina antiuomo (dando la precedenza a luoghi completamente sprovvisti di intervento sanitario da parte di altre ONG); impiantare una struttura ospedaliera per fornire un intervento di primo soccorso; lavorare per rendere la struttura stabile e contemporaneamente addestrare personale locale in grado di gestirla autonomamente anche nel momento della partenza di Emergency. A questo tipo di attività, quando Emergency ha assunto una struttura più solida e accumulato sufficiente esperienza, si sono aggiunte iniziative volte a recuperare completamente i pazienti sia sul piano fisico che psicologico. Emergency offre oggi tutto l’aiuto necessario alla riabilitazione del paziente e lo fornisce di una protesi per rimpiazzare l’arto amputato dopo l’incontro con una mina e un bisturi della sala operatoria. Tutto questo servizio è offerto in maniera totalmente gratuita ai pazienti degli ospedali.

Il disegno iniziale di Emergency si è quindi dilatato di fronte all’evidenza dei fatti. Non si tratta di un semplice intervento sanitario, ma di un più articolato insieme di passaggi che si preoccupano del destino del ferito all’interno della comunità sociale in cui dovrà reintegrarsi una volta abbandonata la struttura ospedaliera.

Emergency ha sviluppato una grande capacità di coinvolgimento del personale locale in ogni area di intervento. Le missioni di medici che partono per i Paesi scelti dall’associazione sono molto contenute sul piano numerico, con il compito di assumere immediatamente il personale locale per svolgere tutte quelle funzioni che ruotano attorno a una struttura ospedaliera. Col passare del tempo i medici di Emergency completano la formazione (infermiere, anestesista, fisioterapista, chirurgo, ecc.) dei propri collaboratori reclutati sul posto, con il doppio obbiettivo di dare un lavoro a queste persone e di rendere l’ospedale autosufficiente. Nel Kurdistan iracheno, ad esempio, le strutture di Emergency (due ospedali, undici punti di pronto soccorso e un centro di riabilitazione) sono in grado di funzionare senza il contributo dei medici occidentali. In pratica il vero obbiettivo è quello di diventare inutili.

5 . 2 – Attività

Emergency è una di quelle ONG che lavorano sul doppio binario dell’intervento in Paesi minati e nell’opinione pubblica del Paese di origine dell’associazione.

L’associazione è stata fondata e pensata da dei medici e fornisce quindi una risposta al problema delle mine sul piano dell’assistenza alle vittime, non occupandosi direttamente di sminamento.

Sul territorio italiano svolge invece un’opera di sensibilizzazione e di pressione politica ad ampio raggio, ma con presupposti e specificità diversi rispetto a quelli che abbiamo incontrato analizzando l’attività di ICBL. In questo caso infatti l’attività è nata “partendo dal basso”, andando a incontrare i cittadini senza sviluppare una rete di rapporti nei confronti delle istituzioni del Paese. Solo in un secondo tempo e raggiunta una certa forza, Emergency si è posta come interlocutore delle istituzioni pubbliche, avendo sempre considerato i giovani delle scuole come il primo destinatario della propria attività di informazione.

5 . 2 . 1 – Attività all’estero

Le ragioni e la logica scelte da Emergency negli interventi sul campo sono state chiarite al paragrafo 5.1; qui di seguito riportiamo la ricaduta pratica di quanto già visto in teoria[2].

La prima caratteristica degli interventi di Emergency è data dalla totale neutralità nei confronti dei conflitti entro i quali si trova a operare. Questa affermazione sembrerebbe lapalissiana se si considera che si tratta di interventi umanitari, per cui la neutralità è caratteristica irrinunciabile, ma è bene sottolineare comunque questo aspetto, perché troppo spesso gli interventi umanitari hanno nascosto interessi di parte.

La prima missione di Emergency è datata 1994, destinazione Ruanda. In quattro mesi l’associazione ha ristrutturato l’ospedale di Kigali e dato assistenza a oltre 3.000 persone.

Nel 1995, dopo un circoscritto intervento per la distribuzione di farmaci ai profughi ceceni, è iniziato per Emergency un poderoso lavoro nel Kurdistan iracheno che prosegue ancora oggi. Nel quinquennio 1995-99 l’associazione ha messo in piedi tre ospedali (uno dei quali oggi non esiste più), undici punti di pronto soccorso e un centro di riabilitazione nella città di Sulaimaniya. Questo tipo di struttura permette di intervenire rapidamente dal momento dell’individuazione di un ferito, assicurandogli l’assistenza di prima necessità e poi l’eventuale trasporto in una struttura ospedaliera. Nel nord dell’Iraq Emergency è inoltre in grado di costruire autonomamente le protesi da fornire agli amputati; il 70% di coloro che lavorano al Centro di Riabilitazione e Reintegrazione Sociale di Sulaimaniya sono vittime di guerra ed ex pazienti dell’ospedale e il 100% del personale è kurdo.

Nel 1996 è iniziato un difficile rapporto con l’Afghanistan. Un intervento di Emergency nella capitale era previsto per il 1997, ma la presa del potere da parte dei Talebani ha fatto saltare tutti i piani e rinviato al 1999 la costruzione di un ospedale.

Gli sforzi del 1997 sono stati quindi indirizzati in un’altra zona di mondo altamente minata e quasi totalmente sprovvista di supporto sanitario: la Cambogia. Emergency ha costruito un ospedale nella città di Battambang, attorno al quale oggi operano quattro presidi sanitari con le funzioni di pronto soccorso.

Dal luglio 1999 Emergency sostiene il Centro Culturale Stari Grad e l’orfanotrofio Jovan Jovanovic Smaj di Belgrado, mentre nello stesso anno diventava possibile l’intervento in Afghanistan. Emergency ha un ospedale ad Anabah[3], nella valle del Panshir, e due punti di pronto soccorso.

Complessivamente, dall’inizio delle attività al 31 dicembre 1999, Emergency ha assistito oltre 90.000 vittime di guerra. Un numero che è già sensibilmente aumentato e che continuerà a crescere perché la percentuale delle vittime è sempre elevatissima e perché i progetti di Emergency prevedono la prossima apertura di due nuove strutture, una a Kabul e l’altra in Sierra Leone[4] (Goderich – sobborgo di Freetown).

Come mostrano questi dati, Emergency è riuscita a mettere in pratica quel disegno teorico nato in un ufficio di Milano. Oggi l’associazione deve ancora compiere un ultimo delicatissimo passo per chiudere il cerchio dei suoi interventi. Emergency, avendo come compito quello di insegnare il mestiere alle popolazioni che va ad assistere, mira a consegnare i propri ospedali nelle mani delle autorità locali, quando è sicura che lo standard sanitario fornito alle vittime è destinato a rimanere ad alti livelli. Questo delicato passaggio non è ancora avvenuto in nessuna delle aree di intervento e, se le condizioni politico-militari di quei Paesi non dovessero cambiare rapidamente, è difficile prevedere la data del passaggio di consegne. La situazione della Cambogia sembra essere la più stabile delle quattro, ma Kurdistan, Afghanistan e Sierra Leone sono zone di conflitto attivo in cui risulta abbastanza complicato individuare l’autorità costituita nelle cui mani consegnare una struttura ospedaliera.

5 . 2 . 2 – Attività in Italia

Emergency ha la sede ufficiale a Milano ed è in corso di allestimento un secondo ufficio a Roma. Il resto del territorio italiano è coperto dal lavoro di oltre quaranta gruppi territoriali sparsi in tutte le regioni.

Nel 1994 il lavoro è partito dal capoluogo lombardo e si è velocemente ramificato, andando dapprima a coprire il nord della penisola, per poi scendere per il resto del Paese.

I gruppi territoriali svolgono una duplice funzione:

-         informazione sull’attività dell’associazione e sulle realtà incontrate nei Paesi di intervento ;

-         raccolta fondi.

L’associazione non partecipa al cartello di ONG della Campagna italiana per la messa al bando delle mine antiuomo (a sua volta inserito in ICBL) e ha sviluppato un cammino autonomo nella battaglia contro gli ordigni. Emergency è l’ONG che più ha fatto sul territorio italiano per contrastare realmente il proliferare delle mine, fin dal 1994, quando l’Italia occupava il terzo gradino del podio tra i Paesi produttori.

La campagna portata avanti ha conosciuto iniziative molto diverse: conferenze pubbliche[5]; seminari; interventi nelle scuole; partecipazioni a trasmissioni televisive; interviste con la stampa e punti informativi entro manifestazioni pubbliche.

Emergency ha organizzato questo lavoro lasciando ampia autonomia d’iniziativa ai propri gruppi territoriali, assecondandone le diverse caratteristiche e la diversa composizione numerica. Questo punto è stato uno degli elementi di forza dell’associazione e ha permesso ai volontari, che lavorano lontano dalla sede milanese, di sviluppare progetti autonomi e di assumersi delle responsabilità senza aspettare le direttive centrali. Contemporaneamente questo è un elemento di forte, ma necessario, rischio da parte dell’ONG, che si limita a dettare le linee guida principali senza pretendere un controllo continuo sull’attività dei singoli, basando quindi i propri rapporti sulla collaborazione e la fiducia reciproca.

In alcuni rari casi l’associazione ha invece optato per iniziative a carattere nazionale supportate da un ampio intervento sui mezzi di comunicazione[6], per cui era possibile ritrovare in molte piazze italiane tavoli dell’associazione che presentavano contemporaneamente lo stesso tipo di iniziativa.

Per dare un’idea dei risultati raggiunti dalle varie campagne per il bando sulle mine, mi permetto di fare un’osservazione basata sulla mia esperienza personale.

Tenere una conferenza sul problema mine antiuomo nel 1996 o nel 1999 ha significato svolgere due attività molto diverse. Nel 1996 parlare di mine voleva dire incontrare un pubblico costretto ad ascoltare in silenzio il proprio interlocutore, perché delle mine non si sapeva praticamente niente, né da un punto di vista quantitativo, né sul piano delle conseguenze che procurano. A partire dagli ultimi due anni, invece, la medesima conferenza comportava un’ottima preparazione da parte del relatore, perché il pubblico era ormai stato raggiunto da un’attività informativa ad ampio raggio e spesso era necessario rispondere a domande che provenivano da stimoli diversi rispetto a quelli proposti dal relatore stesso[7]. Mentre nel 1996 era necessaria una buona preparazione per non ingannare la gente con notizie false, oggi la stessa preparazione serve per non farsi cogliere impreparati da un pubblico che rischia di saperne di più di chi parla.

In questa considerazione si può ritrovare anche la ragione che ha portato Emergency a considerare i ragazzi delle scuole come il proprio interlocutore principe. L’obbiettivo è quello di avere domani una generazione consapevole, che non possa più nascondersi dietro la scusa del “non lo sapevo”. Per cui, quando i giovani di oggi saranno classe dirigente, dovranno assumersi le responsabilità cui sono sfuggiti i loro padri, furbescamente incoscienti dei danni che provocavano le mine che stavano producendo.

5 . 2 . 3 – Attività a contatto con le istituzioni    

Il lavoro di Emergency è partito attivando collaborazioni molto semplici, cercando il proprio sostentamento attraverso l’iniziativa dei privati e la buona volontà dei propri simpatizzanti. Con il passare del tempo l’associazione ha cominciato ad avere un assetto stabile e una riconosciuta fama internazionale che ha portato all’attivazione di contatti con istituzioni pubbliche.

A partire dal 1996 Emergency ha ricevuto fondi da ECHO (European Community Humanitarian Office), per sostenere le proprie missioni in Iraq.

Negli ultimi due anni sono stati attivati canali di contatto con le Nazioni Unite (UNHCR – WHO) e con il Ministero degli Affari Esteri italiano.

Contemporaneamente Emergency è stata contattata dai Ministeri della Pubblica Istruzione e della Sanità per studiare progetti comuni di intervento, sia sul piano della formazione scolastica, che su quello della collaborazione nelle missioni umanitarie[8].

Tutto questo processo deve però ancora trovare una definizione concreta e non è facile stabilire quali rapporti esisteranno domani tra l’associazione e le istituzioni italiane e internazionali[9].

Oggi Emergency non è comunque nelle condizioni di svolgere quell’attività di pressione politica dall’alto come riesce invece a portare avanti con successo ICBL. Le due strutture non sono nemmeno lontanamente paragonabili, visto che ICBL si compone di oltre mille ONG, mentre Emergency lavora da sola, ma il lavoro converge nella medesima direzione.

5 . 3 – L’opinione odierna di Emergency

Lo stesso approccio diretto scelto per gli Stati è stato adottato per conoscere l’opinione di Emergency nel tempo presente. In questo caso è possibile riportare la fonte senza bisogno di riassumerne le parole.

Le risposte che seguono sono di Carlo Garbagnati, direttore del giornale e vice-presidente di Emergency (raggiunto via e-mail il 25 settembre 2000). 

D. – Per quale motivo Emergency ha scelto di lavorare in una struttura ristretta, senza pensare di aprire sedi all’estero o di coalizzare la propria azione con altre ONG ?

R. – La dimensione non mastodontica dell’associazione è una condizione non sufficiente ma necessaria perché nei componenti non si smarriscano le motivazioni che hanno determinato la nascita dell’associazione. 

Abbiamo inoltre constatato le notevoli difficoltà che incontra la “grande“ organizzazione – “grande” per estensione (l’ampiezza delle radici) e per intensione (in che cosa consiste l’attività).

Estensione. Essere qualificati come un’organizzazione italiana – d’un paese di un certo rilievo, ma di non primissimo piano, certo non una grande potenza – accredita senza compromettere, offre possibilità che probabilmente non offrirebbe una qualificazione più estesa o prestigiosa: nei paesi in guerra, o reduci di guerre recentissime – sono le caratteristiche dei luoghi dove Emergency interviene – il livello di diffidenza e di sospetto è altissimo. Superare diffidenze e sospetti è tanto più difficile quanto più numerosi sono gli “enti” (stati, organismi internazionali, organizzazioni e associazioni) coinvolti.

Intensione. Emergency è impegnata nella difesa dei fondamentali diritti umani alla vita e alla salute. Occorre costruire le condizioni per essere accettati o almeno tollerati da entrambe le parti in guerra. La cosa è materialmente possibile se questa difesa dei diritti umani è rigorosamente sé stessa. La difesa dei diritti umani che si esercita denunciando e accusando non può essere esercitata da chi svolge la nostra attività. Questa è una constatazione. O si svolge l’attività di assistenza medico-chirurgica e nessun’altra, o si svolge qualche altra attività che non richieda la contiguità “fisica” con i combattimenti e i combattenti.

L’una e l’altra cosa (estensione e intensione).

Una certa forma di “isolamento” è una pre-condizione dell’agire di Emergency, non una scelta cervellotica o bizzosa.

D. – L’intervento sanitario e più ancora quello di sminamento sono a volte un business e non hanno reali finalità di tipo umanitario: come controllarli ?

R. – Forse non sarebbe una riflessione elegante o poetica, ma sarebbe meritevole di considerazione disinibita e attenta un’azione che, con fini mediocri o esecrabili, ottenesse buoni risultati. Ma è lecito temere che le azioni finiscano con l’assumere i caratteri delle loro motivazioni.

Il fine di lucro può (forse) combinarsi con servizi connessi a bisogni essenziali e diritti fondamentali in condizioni di normalità, quando sia o si presuma scontata la possibilità per tutti di procurarsi sul “mercato” questi servizi.

Nei contesti nei quali noi operiamo questa eventualità è assolutamente impensabile.

In molti casi l’ispirazione umanitaria e il carattere gratuito sono condizioni di esistenza per questi servizi o, per meglio dire, per un effettivo riconoscimento di questi diritti.

Agire “nel vuoto”, nella limitatezza di mezzi, rispondere alle esigenze e alle difficoltà impreviste, far fronte a situazioni sempre nuove… tutto questo è possibile solo in presenza di forti motivazioni, che anche per l’agire concreto sono fonte di creatività e di responsabilità.

Esercitare il controllo “in uscita”, sul campo, è essenziale, ma talvolta difficile; non può comunque stare senza un controllo “in entrata”, una conoscenza delle associazioni e delle organizzazioni.

Accanto – e più significativo – del controllo “istituzionale” è quel genere di controllo assiduo, costante, che un’associazione “subisce”mantenendo aperte le finestre di casa agli sguardi amichevoli e non di chiunque voglia essere osservatore: apparire non è, in questo caso, una vana vanità, ma un’occasione ricercata e perseguita di controllo e di garanzia.

D. – Quali sono, a suo parere, le prospettive del Trattato di Ottawa ?

R. – Difficile dire quali. Ferrea la convinzione sul come: la perdita di contatto con la sensibilità dell’opinione pubblica internazionale significherebbe l’abbandono dell’argomento e degli obiettivi. Una continua attenzione diffusa contribuirebbe a uno sviluppo positivo il processo attivato a Ottawa e lo avvierebbe a compimento.

D. – Come si comporteranno Cina, India, Russia e Stati Uniti ?

R. – La risposta a questa domanda consegue dal «come» delle prospettive di Ottawa di cui si è appena parlato.

D. – Chi è che non vuole mettere al bando le mine, chi si nasconde dietro al nome di uno Stato ?

R. – Forse (ribadisco:forse) i campioni della lotta all’ideologia ne sono praticanti attivi e ferventissimi. Se è variamente stimata l’importanza delle mine antiuomo, può essere comunque univoco l’orientamento a ribadire l’intangibilità del settore militare, la sua indipendenza dalla politica e – soprattutto – dalle scelte politiche ispirate, suggerite o imposte da movimenti d’opinione. Insomma: la democrazia è un gioco da concedere ai ragazzi in cortile; la guerra, il mondo militare sono cose serie da tenere lontane da queste buffonate e da lasciare agli adulti.

Ribadire questi “sacrosanti principi” può forse essere uno scopo che trascende il rilievo tattico-strategico e l’interesse economico-finanziario delle mine antiuomo.

D. – Molti governi estranei al Trattato di Ottawa, ma anche alcuni che invece ne fanno parte, vorrebbero riportare la discussione sulle mine dentro la Conferenza sul Disarmo: non crede che si tratti solo di una scusa per ridimensionare il testo del trattato ? E non crede che per qualcuno il problema non sia solo di bandire le mine, ma anche di assecondare il cammino di Ottawa, accettando il ruolo che le ONG si stanno ritagliando come soggetto nuovo nelle relazioni internazionali ?

R. – Una risposta affermativa al  primo interrogativo potrebbe sollevare qualche perplessità, proprio perché (s’è detto sopra) attorno alla questione mine potrebbero svolgersi giochi il cui contenuto è altro da quel che immediatamente appare.

La costituzione di sé come soggetto politico, o in lobby, porta forse vantaggi materiali alle ONG, ma potrebbe far loro perdere evidenza di motivazioni, credibilità, affidabilità, indipendenza. Alla seconda domanda sarebbe difficile rispondere, ma certo motivi di preoccupazione e di perplessità non si possono tacere. 

 

D. – Una convenzione internazionale è sufficiente a fermare le mine o servono interventi anche in campo economico e sociale ?

R. – Anche l’ampiezza dello spazio rivestito nella nostra pratica dalla riabilitazione fisica e dal recupero sociale dice come, secondo Emergency, sia scontata la risposta e come questa sia una domanda retorica.

D. – Quanto ha contatto il coinvolgimento dell’opinione pubblica per arrivare al Trattato di Ottawa ?

R. – In misura senza dubbio decisiva.

D. – Vuole aggiungere qualcosa ?

R. – Sì, doverosamente anche se scontatamente. L’idea della «lotta alle mine» non può smarrirsi contemplando sé stessa allo specchio; non può trasformarsi in oblio degli uomini. Non può, cioè, perdere contatto con il suo significato e il suo scopo: la difesa del basilare diritto umano di ogni individuo alla vita e alla salute. Finché mine antiuomo giaceranno sul terreno, il rispetto di questo elementare e fondamentale diritto umano richiede che alle vittime siano garantite la cura, l’assistenza, il recupero fisico e sociale.

5 . 4 – Conclusioni Emergency

La risposta di Emergency alla carneficina causata dalle mine antiuomo è incentrata sull’intervento a sostegno delle vittime. Il settore sanitario è considerato dall’associazione come primario nell’ordine delle priorità. Questo tipo di intervento è destinato, nelle condizioni attuali, a essere necessario per parecchi decenni[10] (forse secoli), se considerato solo dal punto di vista dell’emergenza mine. Il calcolo diventa impossibile se consideriamo invece che l’associazione diventerà superflua solo nel giorno in cui gli esseri umani smetteranno di risolvere i propri problemi facendo ricorso alle armi.

Emergency è oggi di fronte a un passaggio cruciale che la costringerà ad ampliare e rafforzare le proprie strutture. I risultati raggiunti nei sei anni di attività sono veramente notevoli considerando la struttura ridotta dell’associazione e il basso contribuito fornito dagli interlocutori istituzionali. Le attività continuano ad aumentare e a ramificarsi in settori diversi ed Emergency dovrà presto decidere se mantenere l’attuale struttura ristretta, mirando ad un livello massimo della capacità di intervento senza stravolgerne l’assetto, o se cambiare tutta l’organizzazione in modo da renderla adattabile a un numero teoricamente illimitato di interventi sul campo.

Emergency consegna alla lotta contro le mine (e più in generale a ogni processo di pace), un ulteriore elemento, che forse più di tutti può contribuire a far coltivare una speranza per il futuro: la riproducibilità del suo operato.

L’attività di Emergency dimostra come partendo “dal basso”, con il semplice impegno del singolo, senza bisogno dell’intervento di nessun potere costituito, sia possibile giungere a risultati concreti e sostanziali.

 


 

[1] ICRC – Assistance aux victimes des mines antipersonnel: besoins, contraintes et stratégie – www.icrc.org/icrcfre.nsf/c12562970032542a4125621200524882/1334a9537d2c9abc412564f00031fc76?OpenDocument .

[2] I dati di seguito riportati sono contenuti nel Report 1994-1999 dell’ONG italiana.

[3] La costruzione di questo ospedale è stata seguita da riprese video che hanno portato alla realizzazione del film Jung, realizzato con l’aiuto della RAI e dell’inviato di guerra del Corriere della Sera Ettore Mo. Il film è stato presentato l’8 settembre 2000 alla Mostra del Cinema di Venezia ed è andato in onda in prima serata sugli schermi televisivi di RAI 3 il 10 settembre 2000.

[4] In questo Paese africano la tipologia di intervento è destinata a essere diversa rispetto ai Paesi altamente minati in cui opera Emergency. In Sierra Leone, infatti, la maggior parte degli amputati è vittima dei colpi del machete e non delle mine antiuomo.

[5] Mi preme ricordare che, grazie al lavoro dei gruppi studenteschi Gulliver e Sestante, Emergency ha tenuto tre conferenze presso la Facoltà di Scienze Politiche di Pisa.

[6] Il giornale più attivo in Italia contro le mine antiuomo è la Gazzetta dello Sport e il suo direttore Candido Cannavò. Questo giornale e il Corriere della Sera hanno organizzato un’iniziativa comune a sostegno di Emergency e Amnesty International il 1 gennaio 2000, mandando in stampa un’edizione totalmente dedicata ai problemi del mondo connessi allo sviluppo e alle guerre in corso.

[7] In determinati casi è necessario addirittura confrontarsi con informazioni inesatte raccolte da chi pone la domanda. In Italia gli organi di stampa non sempre hanno trattato il problema con la dovuta attenzione e hanno sovente peccato di quella superficialità che troppo spesso li caratterizza.

[8] Nel corso della guerra tra Etiopia ed Eritrea Emergency ha risposto a una richiesta di intervento del governo italiano, inviando una task force di medici all’Asmara.

[9] I rapporti si sono ulteriormente intensificati nel corso del settembre 2000, con la partecipazione di Emergency alla riunione del Comitato Nazionale per le Azioni Umanitarie contro le Mine Antipersona (Roma 6 settembre) e alla SMSP delle Nazioni Unite (Ginevra 10-15 settembre).

[10] Il Trattato di Ottawa obbliga gli Stati a bonificare le aree minate entro dieci anni dall’adesione al trattato stesso, ma non tutti gli Stati ne sono parte. Nel caso di Emergency, Afhganistan e Iraq sono quanto di più lontano si possa immaginare da un’adesione al bando sulle mine.