CAPITOLO III
La comunità internazionale

3 . 1 -  Questionario

Quaranta Paesi hanno collaborato, in diversa maniera, alla redazione di questo lavoro di ricerca inviando le risposte al questionario loro proposto.

Stati Parti del Trattato di Ottawa:

Andorra – Antigua e Barbuda – Australia – Austria – Belgio – Belize – Brasile – Canada[1] – Colombia[2] – Croazia – Ecuador – Francia[3] – Germania – Giappone[4] – Islanda – Liechtenstein – Malesia – Mauritius – Messico – Monaco – Olanda – Perù – San Marino – Seychelles – Slovacchia – Slovenia – Sud Africa – Svezia – Tailandia – Trinidad e Tobago.

Stati firmatari del Trattato di Ottawa:

Burundi – Cile – Etiopia – Lituania.

Stati estranei al Trattato di Ottawa:

Azerbaijan – Corea del Sud – Finlandia[5] – Israele[6] – Taiwan – Turchia.

 


 

La posizione dei componenti la Comunità Internazionale rispetto al bando sulle mine antiuomo è già stata proposta alla tabella del capitolo II. La cartina geografica della pagina seguente fornisce gli stessi dati con diversa modalità di lettura[7].

 


 

3 . 2 – Questionario Stati firmatari

3 . 2 . 1 – Primo quesito

Il Vostro Governo ha già ratificato il Trattato di Ottawa sulla messa al bando delle mine antiuomo ? – Se no, perché ?

Il dato è già conosciuto attraverso la lettura della tabella del capitolo II. Le risposte però rivestono un certo interesse per quei Paesi che hanno firmato, ma non ancora ratificato il testo.

Burundi, Cile ed Etiopia assicurano che il processo di ratifica è in corso, ma tutti e tre hanno dei problemi per completarlo. I due Stati africani conoscono un conflitto attivo sul proprio territorio, mentre il Cile deve prima individuare le necessarie risorse finanziarie per far fronte agli obblighi del trattato.

La risposta della Lituania lascia uno spiraglio ancora più angusto sulle sue possibilità di ratifica, perché si rifugia dietro la frase “…ratification of the convention will take place as soon as relevant conditions relating to the implementation of the provisions of the Convention are fulfilled[8]. In aggiunta a questo, il ministero dello Stato baltico scrive che prima di abolire completamente le mine è necessario rivedere il modello di difesa e trovare valide alternative per proteggere i confini nazionali. Questa posizione è in linea con quella di molti Paesi estranei al bando sulle mine, è condivisa dagli Stati Uniti e, più in generale, da tutti gli Stati che hanno una striscia di terra confinante con la Russia.

3 . 2 . 2 – Secondo quesito

Quali forze hanno contrastato la firma del trattato nel Vostro Paese ?

Nessuno dei Paesi che hanno risposto al questionario riferisce di opposizioni palesi e forti al bando sulle mine antiuomo.

Malesia e Svezia parlano di un’iniziale opposizione da parte delle Forze Armate, ma si è trattato di un primo impatto al problema e dette opposizioni sono rientrate in breve tempo.

Burundi e Colombia tengono invece a sottolineare che sul proprio territorio c’è ancora chi fa uso di mine antiuomo, ma in nessun caso si tratta di forze governative, bensì di gruppi di ribelli.

I due dati si possono considerare condivisi in maniera quasi planetaria. Nessuna delle fonti consultate ha permesso di conoscere prese di posizione chiare a favore delle mine antiuomo. Anche i governi che riconoscono a questo tipo di arma un’importante funzione militare e di difesa, ne parlano come di un male necessario.

Difficilmente le risposte a questa domanda potevano proporre un panorama diverso. Coloro che sono convinti dell’importanza delle mine antiuomo avrebbero grosse difficoltà a difendere una simile posizione in questo preciso momento storico e finirebbero per trovarsi in opposizione all’intera opinione pubblica mondiale, oltre che a più di cento Governi.

I tentativi di difendere l’uso delle mine in realtà esistono, ma si muovono in un sottobosco difficile da indagare. Alcuni Paesi proliferano sul commercio di queste armi, a cominciare da un “colosso” militare come la Cina, fino a uno Stato silenzioso come Singapore[9] che si lava mani e coscienza dando in affitto, a produttori stranieri, fabbriche già attrezzate per la produzione o l’assemblaggio di mine.

In altri casi la difesa delle mine risponde più a esigenze belliche che non economiche. Non è possibile non constatare che molti dei Paesi fuori da Ottawa conoscono conflitti attivi sul proprio territorio e fanno probabilmente uso di mine antiuomo. Da questo punto di vista, la quasi totale estraneità del Medio Oriente al processo di pace fa suonare uno dei più rumorosi campanelli d’allarme.

Il tentativo di frenare il processo per l’abolizione delle mine da parte delle Forze Armate ha avuto luogo in molti Paesi; si è trattato di manovre che hanno in qualche caso ritardato l’adesione al trattato, ma in nessun modo tale opposizione ha messo a rischio il processo in corso.

Indagare le ragioni delle Forze Armate è spesso difficile per le poche occasioni di incontro che si presentano tra la società civile e il versante militare. Questi due “mondi” dovrebbero sicuramente intensificare i momenti di contatto, onde non trovarsi poi a discutere a uno stesso tavolo senza essere in grado di capire le esigenze del proprio interlocutore[10].

Nel caso del Trattato di Ottawa si sono avuti atteggiamenti di vario tipo tra le Forze Armate europee. In alcuni casi l’opposizione era dettata da un reale tentativo di continuare a utilizzare le mine; in altre circostanze si è semplicemente trattato di concedere ai Ministeri della Difesa il tempo necessario per capire cosa avrebbe significato addestrare il personale sminatore in assenza di un quantitativo teoricamente illimitato di mine; in rari casi, come quello tedesco, il mondo militare ha addirittura anticipato le decisioni del Parlamento, mettendo le mine fuori dalla dotazione dell’esercito prima che una legge lo obbligasse a farlo.

La questione sollevata dai governi di Burundi e Colombia è indubbiamente molto attuale ed è stata discussa anche nel corso della Conferenza di Ginevra del settembre 2000 (come vedremo al capitolo VI). Chi si trova a vivere un conflitto interno è costretto a rilasciare dichiarazioni che svincolino il proprio governo dalla responsabilità di mine seminate sul terreno da forze che sfuggono al controllo dell’apparato coercitivo. In questi casi è molto importante che ci sia una totale sincerità da parte delle istituzioni e che non venga usata la presenza di forze ribelli per seminare mine impunemente. Ma il problema esiste e desta molte preoccupazioni se si considera che la maggior parte dei conflitti attuali sfugge alla denominazione classica di guerra e non ha una connotazione internazionale, ma interna. È inoltre più che evidente che le fazioni di ribelli non si assumono impegni sottoscrivendo trattati internazionali, ma la questione deve essere affrontata ed è stata sollevata più volte da ICBL nelle assisi internazionali.

3 . 2 . 3 – Terzo quesito

Come Vi ponete con riferimento ai Vostri alleati che non hanno sottoscritto il trattato ?

Le risposte sono state molto evasive e sintetiche. Nessun Paese ha intenzione di interferire con la sovranità territoriale degli altri e non intende giudicare i diversi modelli di difesa.

Belize, Ecuador e Islanda hanno chiarito che non intendono intraprendere nessuna azione verso i Paesi alleati estranei al Trattato di Ottawa.

Tutti gli altri ministeri riferiscono di un lavoro costante, ma molto rispettoso dell’altrui autonomia, per portare sempre più adesioni al bando sulle mine. In questo senso i due Paesi più attivi sono la Slovenia, per quanto attiene l’area balcanica, e il Belgio, che fin dai primi anni ’90 ha assunto un impegno chiaro contro le mine antiuomo, promulgando la prima legge al mondo di messa al bando[11].

Dichiarare di essere favorevoli al bando in ogni riunione a cui si partecipa non può essere considerato un reale supporto all’universalizzazione del trattato. Agire presso i propri alleati significa prendere provvedimenti concreti, spendere tempo e soldi.

Nessun provvedimento è mai stato adottato né sul piano diplomatico, né in altro settore dell’intervento politico, ma alcuni Stati hanno messo mano alle finanze per mandare esponenti governativi in altri Paesi a caldeggiare l’adesione a Ottawa. È il caso di tutti i governi impegnati in prima linea fin dall’ottobre 1996. Un esempio su tutti è ancora una volta il Canada[12], che nel corso del 1998 ha destinato molte risorse alle varie attività contro le mine e in particolare ha speso $ 845.000 per finanziare progetti di ONG che lavorano per l’universalizzazione del trattato, oppure intervenendo in prima persona in alcuni Paesi[13].

3 . 2 . 4 – Quarto quesito

Secondo il Vostro governo arriveremo ad un’adesione planetaria ?

Il quarto quesito ha portato a risposte molto varie.

Colombia, Ecuador e Seychelles hanno replicato con un ottimistico “sì”, mentre il realismo del Burundi sottolinea le difficoltà insite nel troppo elevato numero di Paesi produttori di mine. Tra questi due estremi si collocano le risposte degli altri ministeri.

La Tailandia è già soddisfatta dell’attuale stato di cose, il Perù sembra preoccuparsi soprattutto della situazione americana (continente che aderisce in massa a Ottawa, uniche eccezioni Cuba e Stati Uniti), Belize e Slovenia non azzardano previsioni.

Il Ministero degli Esteri olandese, pur non sbilanciandosi, è particolarmente entusiasta dei risultati raggiunti dalla Conferenza di Maputo del 1999 ed è convinto che la tendenza verso un bando completo finirà per influenzare la politica di tutti gli Stati.

Australia ed Etiopia hanno invece fornito risposte che conducono verso una possibile mediazione con quei Paesi che reputano il testo di Ottawa troppo radicale, ma che potrebbero condividere posizioni intermedie tra il bando e l’uso indiscriminato delle mine. Scrive Todd Mercer (Executive Officer – Conventional and Nuclear Disarmament Section – Department of Foreign Affairs and Trade – Australia) :

Clearly there is considerable work to be done before the universalisation of the treaty can be achieved. Notwithstanding this, the Australian Government is firmly committed to this goal. As an interim measure, the Australian Government would like to see the negotiation of a ban on the transfer of landmines, in order to bring on board those states which are not in position to sign the Ottawa Convention. In order to promote broad based support, particularly from key states not party to the Ottawa Convention, such a transfer ban could be negotiated in the Conference on Disarmament (CD) or in the context of the Convention on Certain Conventional Weapons (CCW)[14]”.

Come già ricordato nelle conclusioni al capitolo II e come avremo modo di ribadire in seguito, questa “mano tesa” dell’Australia rappresenta una posizione non condivisibile per chi scrive.

Alla Conferenza sul Disarmo partecipano solo 66 Paesi, mentre il Trattato di Ottawa conta già 107 adesioni e più di 30 firme;  le decisioni vengono prese per consensus[15] introducendo di fatto la possibilità che l’opposizione di Cina, Russia, India o Stati Uniti sia sufficiente a bloccare tutti i lavori; le ONG possono indirizzare lettere al Segretario della conferenza, ma non esiste menzione di una loro possibile partecipazione ai lavori[16].

Sulla opposizione alla CCAC (o CCW) del 1980 si è già argomentato al capitolo precedente.

Cina, India e Stati Uniti partecipano sia alla Conferenza sul Disarmo, che all’emendato Protocollo II della CCAC del 1980, ma nessuno di questi due strumenti è mai stato capace di spostare minimamente la loro posizione rispetto alla tragedia causata dalle mine antiuomo.

3 . 2 . 5 – Quinto quesito

Quali strumenti di controllo, nazionali e internazionali, avete previsto e attivato ?

Le risposte a questa domanda sono state tutte intese a riferire dell’adozione di una legge interna per la messa al bando delle mine (come previsto all’art. 9 del Trattato di Ottawa).

Australia, Austria, Belgio, Canada, Francia, Islanda, Liechtenstein, Monaco[17] e Slovacchia hanno risposto puntualmente alla domanda testimoniando la già avvenuta adozione di un provvedimento legislativo interno. Andorra e Burundi hanno inserito disposizioni severe all’interno del proprio codice penale.

Belize, Perù, San Marino, Slovenia e Trinidad e Tobago non forniscono informazioni in proposito, mentre la Tailandia considera sufficiente la sua legislazione precedente e l’adesione a Ottawa e alla CCAC del 1980.

I Parlamenti di Malesia e Colombia hanno un provvedimento legislativo già inserito nell’agenda dei lavori.

Rispondendo a questa domanda, Colombia, Perù ed Etiopia introducono un ulteriore elemento di allarme, testimoniando di un intenso traffico illegale di armi leggere sul proprio territorio: traffico da cui le mine non sarebbero esenti.

Il rispetto dell’art.9 del Trattato di Ottawa è cruciale per garantire una reale repressione dei comportamenti in violazione del bando. Accanto a una norma di Diritto Internazionale è comunque importante approvare leggi interne che prevedano sanzioni penali perentorie per i trasgressori, adattando il testo della convenzione alla realtà di ogni singolo Stato.

Per completare il quadro precedente possiamo qui fornire i dati raccolti dal Landmine Monitor 2000 sul rispetto dell’art.9[18].

Paesi dotati di una legislazione interna:

Australia – Austria – Belgio – Cambogia – Canada – Francia – Germania – Giappone – Gran Bretagna – Guatemala – Italia – Lussemburgo – Monaco – Nuova Zelanda – Nicaragua – Norvegia – Repubblica Ceca – Spagna – Svizzera[19] – Ungheria.

Paesi che hanno recepito il trattato nella legislazione interna e che non ritengono necessari ulteriori interventi:

Danimarca – Giordania – Irlanda – Macedonia – Messico – Namibia – Portogallo – Slovacchia – Svezia – Yemen.

Paesi con un disegno di legge ai lavori del Parlamento:

Bosnia – Bulgaria – Croazia – Malesia – Olanda – Trinidad e Tobago.

Paesi che stanno predisponendo il disegno di legge:

Albania – Islanda – Sud Africa.

La trattazione di ICBL si chiude dicendo che alcuni Paesi non reputano necessaria una legge interna sulle mine antiuomo perché, sul loro territorio, non è mai stata costruita una mina. ICBL non condivide questa posizione e reputa importante che anche questi Paesi si conformino alle disposizioni dell’art.9 del Trattato di Ottawa. La posizione (e la preoccupazione) di ICBL è certamente da condividere.

3 . 2 . 6 – Sesto quesito  

Come si fa a controllare che non vengano più fabbricate mine antiuomo ?

Questo quesito intendeva stimolare un po’ la fantasia degli interlocutori e mirava a capire se al di là delle parole erano già stati presi provvedimenti concreti per controllare traffici illeciti di mine.

La quasi totalità degli interlocutori non fornisce una risposta a questa domanda, non sembrano esistere delle soluzioni e per alcuni il testo di Ottawa è deterrente più che sufficiente.

Colombia e Croazia propongono l’istituzione di commissioni di verifica, ma lo Stato americano aggiunge che in ogni caso queste commissioni non possono contribuire granché se non sono supportate dalla reale volontà degli Stati alla eliminazione delle mine.

L’Etiopia ribadisce la necessaria trasparenza nel commercio degli armamenti.

La risposta del Ministero degli Esteri olandese (per mano di Alexander Verbeek) merita di essere riportata integralmente:

This is very difficult because it is so easy and cheap to produce them. It is therefore important to “name and shame” producers. This is also one of the main reasons why the Ottawa-Treaty does not provide in an expensive verification system (like you the ones established for weapons of mass destruction)”.

Mr. Verbeek risponde con estremo realismo, ma anche con molta sincerità alla domanda. La mancanza di sistemi di controllo è dovuta a una effettiva difficoltà data dalla semplicità di costruzione e dalle piccole dimensioni delle mine[20]; anche i più convinti sostenitori della messa al bando di queste armi provano un certo imbarazzo e un senso di impotenza rispetto al quesito.

I sistemi di controllo previsti per le altre armi di distruzione di massa non possono funzionare nel caso delle mine. Forse l’esperienza maturata nella lotta alla produzione di stupefacenti o a quella di banconote false potrebbe essere più adatta per trovare un sistema di controllo da estendere alle mine.

In determinati casi si può essere complici dei produttori di mine senza nemmeno rendersene conto, come è accaduto ad alcuni operai di ditte rifornitrici della Valsella, cui il signor Borletti faceva costruire dei componenti in plastica dicendo che servivano per assemblare giocattoli[21].

Mr. Verbeek parla anche di dare un volto ai costruttori di mine e di far conoscere all’opinione pubblica i loro nomi. Questo spunto verrà ripreso nella sezione III di questo lavoro, ma si può già dire che la posizione olandese è più che condivisibile. Dietro a uno Stato che permette di fabbricare e utilizzare le mine, esistono uomini che si dedicano materialmente a questa attività e i loro nomi vanno conosciuti e distinti da quelli di chi invece si batte per l’eliminazione di queste armi di distruzione di massa.

Molti Paesi europei sono stati in passato grandi produttori di mine, ma questo non vuol dire che l’intera popolazione di quei Paesi sia ugualmente colpevole del macabro rituale che ogni venti minuti si ripete nel mondo. Mr. Verbeek sembra chiamare in causa la responsabilità di ogni individuo per le azioni che compie e non solo i governi per le decisioni che prendono.

In questo settore le nuove tecnologie non mancheranno di fornire difficoltà ancora maggiori: trasferire via internet le istruzioni per l’assemblaggio di una mina è una cosa elementare e non costa niente.

La velocità di circolazione delle informazioni è stata determinante per la rapida riuscita del disegno di Ottawa, ma gli stessi strumenti sono a disposizione di chi marcia in direzione opposta.

3 . 2 . 7 – Settimo quesito

 

Oltre a un trattato internazionale e a una legge interna, ritenete necessari ulteriori interventi legislativi ed extra-legislativi, ad esempio in ambito economico e socio-culturale ?

Le risposte al settimo quesito hanno diviso in due l’opinione degli Stati.

Ecuador, Islanda, Malesia e Seychelles hanno replicato con un secco “no”, mentre tutti gli altri ministeri hanno proposto soluzioni che ripropongono gli interventi classici nelle zone minate (anche se con diverso ordine di priorità):

-         assistenza alle vittime ;

-         sminamento ;

-         campagne di informazione ;

-         sostegno economico e sociale.

Dal coro si distaccano due Paesi africani minati e in situazioni di conflitto: Burundi ed Etiopia.

Il ministero etiope estende il discorso allo sviluppo economico e alla distribuzione delle risorse:

As it is well known armed conflicts create demand for anti-personnel landmines. Thus, in order to effectively tackle the problems related to these weapons the root causes of conflicts that have their genesis in the economic and social predicaments facing developing countries needs to be addressed as a matter of priority. Furthermore, Government and all stackholders have to work as partners to promote the culture of tolerance, understanding and cooperation. In addition there is a need to place the necessary mechanism and framework both at international and regional level on the equitable utilization of scarce resources (especially Transboundary water resources)”.

Per il Burundi scrive Benoît Bihamiriza (Le directeur des affaires juridiques et du contentieux, Ministère des Relations Extérieures et de la Coopération), il quale dà una risposta molto ardita parlando di “boicottaggio”:

Oui, un boycott par exemple ou des sanctions à l’encontre de ceux qui continuent de produire et de commercialiser ces engines de la mort aveugle”.

3 . 2 . 8 – Ottavo quesito     

Quanto conta sensibilizzare l’opinione pubblica e agire sul piano culturale per contrastare le mine antiuomo ?

A questo quesito nord e sud del mondo, Paesi ricchi e poveri, minati e non rispondono allo stesso modo: la presa di coscienza dell’opinione pubblica sulle conseguenze delle mine è fattore determinante per la loro eliminazione.

Tale convinzione è ritenuta fondamentale sia per fare pressione sui governi che devono prendere le decisioni, sia per ridurre il numero delle vittime nelle zone minate.

Le parole degli intervistati rendono l’idea meglio di qualunque commento.

Mr. Verbeek , Ministero degli Esteri olandese:

The Ottawa process finds its roots in the awareness of public, represented by NGO’s, of the horror caused by landmines. Without ICBL the Mine Ban Treaty would not exist. The work is not over yet and support from both public and governments for the ban on ap-mines remains essential.

Ministero degli Esteri dell’Etiopia:

As most of the victims of anti-personnel land mines are civilians public awareness creation is very essential. These weapons act as sleeping soldiers. Therefore, the community and public must be informed of the threats and dangers of these deadly weapons. Moreover, the community must be aware of the necessary  pattern of behaviour in areas infested by the mines. Information and knowledge on adverse consequences of anti-personnel landmines enable the public to oppose anti-personnel landmines.

Joan Forner Rovira (Ministerio de Relaciones Exteriores – Govern d’Andorra), parlando di un progetto delle Nazioni Unite e dell’UNICEF per far conoscere gli effetti indiscriminati delle mine antiuomo sui bambini, scrive :

…Esta exposición, que dará la vuelta al mundo en un período de dos años, va destinada especialmente a los niños no afectados de los países desarrollados con la finalidad de familiarizarlos con el problema para que en el futuro, ya que serán ellos mismos los que regirán los destinos del mundo, sepan evitar los mismos errores que un día cometieron sus mayores”.

I tre contribuiti sopra citati toccano una porzione consistente del lavoro già svolto nei precedenti capitoli e verranno ulteriormente trattati nella parte successiva di questo lavoro.

3 . 2 . 9 – Contributi aggiuntivi

Slovenia

Lubiana ha ospitato il 21 e 22 giugno 2000 la terza conferenza regionale sulle mine antiuomo dell’area balcanica. Il documento finale di questa conferenza ci permette di capire meglio la delicata situazione di una delle zone più martoriate degli ultimi dieci anni e in cui è stato fatto largo uso di mine.

L’ex Jugoslavia aderisce al Trattato di Ottawa con la sola, pesante, eccezione del governo di Milosevic (che non ha partecipato all’appuntamento di Lubiana). Albania e Bulgaria fanno altrettanto, mentre di Romania e Grecia si aspetta ancora il deposito degli strumenti di ratifica. Il Paese che rischia di destabilizzare la regione è la Turchia, verso cui molti occhi attendono con impazienza di vedere i passi necessari per l’adesione al trattato.

Slovenia, Croazia e Bosnia svolgono nella regione un ruolo di leadership rispetto al

bando sulle mine.

Il documento finale della conferenza di Lubiana riprende tutti i punti del Trattato di Ottawa e ne sottolinea l’importanza; chiede a tutti i Paesi della regione di aderirvi, congiuntamente alla CCAC del 1980; sottolinea il ruolo fondamentale dell’intervento delle ONG e ribadisce la necessità degli aiuti forniti dagli altri Stati per le operazioni di sminamento[22] e assistenza alle vittime.

L’Albania ha iniziato il processo di distruzione degli stock e la Turchia assicura che il cammino verso l’adesione a Ottawa è già in corso.

Il documento finale amplia il discorso, riconoscendo che la distruzione delle mine è uno dei requisiti essenziali per la stabilità dei Balcani[23]:

Humanitarian demining and mine victim assistence, as well as stockpile destruction in these countries, will help build sustainable political and economic stability in the region[24].

Svezia

La Svezia ha preso posizione per risolvere i problemi dei Paesi meno ricchi e che per questo motivo stentano a sottoscrivere il Trattato di Ottawa, temendo di non essere poi in grado di rispettarne gli obblighi[25]. Il governo svedese non reputa accettabile che la mancanza di fondi possa essere motivo sufficiente per non aderire e la ricetta che propone è di una semplicità disarmante: chi ha più risorse le usi per aiutare gli altri[26].

In order for States to fulfil their obligation to destroy stockpiles of mines, both technical and financial assistance may be needed. No state should be discouraged from acceding to the treaty due to the costs involved in stockpile destruction. The Swedish Government, for its part, is prepared to contribute to such assistance, bilaterally and together with its EU partners and other interested countries[27].

Belgio

Nell’aprile 1999 il governo belga ha provato a stendere un piano di intervento a favore delle vittime e delle zone minate, distinguendo tra interventi a breve e lungo termine.

Breve periodo:

-         sminamento ;

-         mappatura delle zone minate ed elaborazione di un sistema di informazione regionale centralizzato ;

-         banche dati sulle mine, suddivise per modelli ;

-         formazione di sminatori locali nei Paesi in cui si interviene, fornendoli del necessario equipaggiamento ;

-         campagne di informazione per la popolazioni delle zone minate ;

-         reintegrazione delle vittime  e dei loro parenti sul piano fisico, psichico e sociale ;

-         particolare attenzione a vedove e orfani ;

-         risarcimento delle vittime da parte degli autori delle violenze.

Lungo periodo:

-         sminamento inserito nei programmi di sviluppo regionale e di previsione economica ;

-         sviluppo di nuove tecnologie per lo sminamento, prediligendo la “low-tech” sulla “high-tech”.

Belgio e Canada

I due Paesi, rispondendo al questionario, hanno ribadito un concetto più volte esposto nelle assisi internazionali. Le attività di sminamento devono essere rivolte ai Paesi che aderiscono al Trattato di Ottawa. Solo in circostanze di assoluta emergenza si procede a bonificare aree in cui si continuano a usare e produrre le mine.

3 . 3 – Questionario Stati fuori dal Trattato di Ottawa

Dei cinque Paesi che hanno risposto al questionario, solo Taiwan ha scelto di trattare le domande una alla volta, mentre gli altri hanno optato per una risposta complessiva. Per questa ragione è sembrato più opportuno analizzare le risposte Stato per Stato anziché adottare il metodo dei paragrafi precedenti.

3 . 3 . 1 - Turchia

Il governo turco si felicita per l’entrata in vigore del Trattato di Ottawa e riconosce la necessità di fermare l’uso indiscriminato delle mine antiuomo[28].

La Turchia dichiara di non poter accedere immediatamente al bando per colpa degli Stati confinanti a sud-est del suo territorio, i quali sono tutti estranei al Trattato di Ottawa. Altra ragione è data dall’uso indiscriminato di mine antiuomo che viene fatto dai terroristi del partito kurdo PKK.

La politica turca prevede un avvicinamento per gradi al bando sulle mine, attraverso la firma di trattati bilaterali con i vicini per sminare congiuntamente le frontiere senza mettere in pericolo l’apparato difensivo. Il primo di questi accordi è già stato firmato con la Bulgaria (unico Stato confinante che aderisce a Ottawa) ed entrerà in vigore appena i due Paesi si saranno scambiati gli strumenti di ratifica. Accordi analoghi sono stati proposti a Grecia, Azerbaijan e Georgia.

La Turchia sostiene tutti i passi compiuti dalle Nazioni Unite per fermare l’uso indiscriminato delle mine; auspica l’adozione di nuove decisioni entro la Conferenza sul Disarmo e ha espresso, per la prima volta a Maputo, la sua intenzione di accedere al Trattato di Ottawa nei primi anni del decennio in corso.

Il governo turco assume con queste parole una posizione di stallo che non agevolerà il processo di pace nell’area geografica, particolarmente “calda”, di cui fa parte. Iran, Iraq e Siria sono vicini di casa alquanto scomodi e tra le Repubbliche ex sovietiche a nord-est la situazione è di continua tensione, ma non è accettabile una posizione che dichiari di compiere un passo solo quando un altro l’avrà fatto per primo. Mantenendo una posizione del genere nessuno aderirà mai al trattato.

Per quanto riguarda i terroristi il governo può avere tutte le ragioni per essere preoccupato, ma dimentica di citare la politica turca di repressione del popolo kurdo, assecondata dal regime di Saddam Hussein a sud.

Le speranze di vedere presto il governo turco sottoscrivere il Trattato di Ottawa si limitano alle dichiarazioni ufficiali rilasciate a Maputo nel maggio del 1999 e a Lubiana nello scorso giugno. La Turchia inoltre ha partecipato alla recente Conferenza di Ginevra e condivide con la Finlandia una scomoda posizione verso gli alleati dell’Unione Europea[29], cui auspica di accedere nel breve periodo. Proprio i Paesi europei possono svolgere un ruolo decisivo per costringere la Turchia a sottoscrivere il bando sulle mine e ad essere più rispettosa dei Diritti Umani.

3 . 3 . 2 - Azerbaijan 

Il governo azero si dichiara favorevole sia al Trattato di Ottawa, che alla CCAC del 1980, ma non è nelle condizioni di sottoscrivere le due convenzioni e considera il bando sulle mine un importante obbiettivo umanitario del ventunesimo secolo.

Le ragioni che impediscono di firmare le convenzioni sono imputabili al governo armeno. I due Stati sono in conflitto aperto, le truppe armene controllano il 20% del territorio dell’Azerbaijan e fanno uso di mine antiuomo. Il governo azero non può quindi privarsi delle mine quando si trova coinvolto nello sforzo teso a difendere la propria sovranità territoriale.

La lettera di Kamil Khassiev (Head of Division – Ministry of Foreign Affairs of Azerbaijan) conclude :

I believe that the settlement of the conflict between Armenia and Azerbaijan will pave the way to the resolution of the issue of the soonest accession of the Republic of Azerbaijan to above-mentioned Treaty”.

Anche il governo azero pone quindi in capo a terzi le ragioni della non adesione. La posizione non è condivisibile nemmeno in questo caso; non si può accettare che la messa al bando delle mine sia conseguenza logica della fine di un conflitto, perché questa stessa logica vorrebbe vedere le mine antiuomo reintegrate nelle dotazioni di Paesi che oggi conoscono un periodo di pace, ma che domani potrebbero conoscere un nuovo momento bellico.

3 . 3 . 3 - Taiwan

La risposta del governo asiatico è molto sintetica.

Taiwan mostra tutto il suo compiacimento per la messa al bando delle mine antiuomo che condivide totalmente, ma, ancora una volta, l’aggressività di un vicino non consente di privarsi delle mine: in questo caso si tratta della Cina.

Il conflitto tra le “due Cine” prosegue senza interruzioni dal 1948[30], ma è forse possibile farlo risalire a data ancora precedente e si trascina rancori lunghi quasi un secolo, oltre alla pesante eredità della Guerra Fredda. La classe dirigente dei due Paesi è ormai formata da persone che non dispongono più dei ricordi del tempo in cui i Cinesi erano un popolo unito e questo fattore non fa che aumentare i pericoli[31].

I due conflitti hanno origini e vicende ben diverse, ma i commenti alle parole di Taiwan non si distaccano da quanto detto per l’Azerbaijan.

3 . 3 . 4 – Corea del Sud

Scrive Choong-myon Lee (Assistant Director at the Disarmament and Nuclear Affairs Division of the Ministry of Foreign Affairs and Trade – Republic of Korea) :

The Korean Government supports the international community’s efforts to reduce the scourge caused by the indiscriminate use of Anti-Personnel Landmines (APLs). It believes, however, that the legitimate security concerns of some countries should be duly taken into account when dealing with APLs”.

Il pericolo per Seul viene ovviamente dal Nord e il governo è pronto ad accedere al Trattato di Ottawa appena i rapporti si saranno normalizzati. Nel frattempo ha attivato le procedure per l’adesione alla CCAC del 1980.

I commenti sono sempre uguali e il fatto che Seul intenda aderire all’emendato Protocollo II della CCAC, e non al Trattato di Ottawa, testimonia ulteriormente dell’inadeguatezza di quel testo rispetto all’eliminazione degli ordigni: al confine tra le due Coree non cambierà nulla e la gente continuerà a morire per mano delle mine[32].

La distensione nei rapporti tra le due Coree[33] rappresenta uno dei punti cruciali per il raggiungimento di un’adesione planetaria al Trattato di Ottawa.

Gli Stati Uniti pongono la difesa del territorio sud-coreano in testa alle ragioni che li spingono a mantenere le mine antiuomo nella dotazione del proprio esercito. La Casa Bianca ha sempre sostenuto che aderirà al bando nel 2006, non appena avrà sviluppato sistemi alternativi alle mine antiuomo, ma la distensione tra le due Coree farebbe venire meno la più dura opposizione statunitense al bando.

La posizione degli Stati Uniti serve anche da punto di appoggio alle ragioni di molti altri Paesi; la Finlandia ad esempio propone le stesse date per la propria adesione a Ottawa, ma anche altri Stati vedrebbero la loro posizione molto più isolata al venire meno della complicità americana: l’alleato turco; gli “indecisi” dell’est europeo; la Russia e tutte le Repubbliche ex sovietiche; forse anche qualche Paese amico del mondo arabo.

L’arsenale militare americano dispone già oggi di una forza sufficiente a proteggere il confine coreano senza il bisogno di impiegare le mine e l’opinione non appartiene a chi scrive, ma ad autorevoli esponenti dell’esercito statunitense e a un ex presidente vicino alla Casa Bianca. Un estratto di un discorso del giugno 1997 del presidente Jimmy Carter recita così :

Fortunately, influential military voices are increasingly opposing APLs. Retired Gen. H. Norman Schwarzkopf and 14 other senior U.S. military officers – including two former commanders of U.S. forces in South Korea – now publicly support a total ban. In an open letter to Mr. Clinton last year, they said such a ban would be ‘humane and military responsible’ and ‘would not undermine the military effectiveness or safety of our forces, nor those of other nations’ [34].

3 . 3 . 5 – Finlandia

Il governo considera le mine antiuomo un’arma necessaria alla difesa dei confini nazionali, ma la Finlandia è intenzionata a convergere sulla messa al bando di queste armi.

Una commissione di esperti dei Ministeri di Difesa ed Esteri sta rinnovando il modello difensivo e studiando nuovi armamenti da usare in sostituzione delle mine. Non appena valide alternative saranno disponibili, Helsinki sottoscriverà il testo di Ottawa.

Il lavoro degli esperti procede secondo un calendario definito, ma rinnovare l’assetto difensivo di uno Stato obbliga a far fronte a spese onerose e i tempi non potranno essere rapidissimi. Questo il calendario:

-         2001: inizio progetto per il rinnovo del modello di difesa ;

-         2006: adesione al Trattato di Ottawa ;

-         2010: fine programma di distruzione delle mine presenti negli stock.

La Finlandia è impegnata nello sminamento umanitario, l’assistenza alle vittime e il finanziamento di campagne di informazione. Non produce mine antiuomo e non le ha mai esportate, considera invece determinante agire sui Paesi produttori di mine affinché interrompano l’attività e denuncia la presenza di Stati firmatari di Ottawa che fanno ancora uso degli ordigni.

La posizione finlandese è forse la più scomoda tra quelle dei Paesi estranei a Ottawa: nessuno ha mai messo in dubbio la democraticità e l’atteggiamento pacifico della Finlandia e il governo di Helsinki spende tempo ed energie per giustificare le proprie necessità di difesa nazionale. La Finlandia è l’unico Paese dell’Europa occidentale che condivide una lunga linea di confine con la Russia e i suoi problemi sono tutti condensati in quell’area.

È sicuramente condivisibile la constatazione che i pericoli per l’attuazione del Trattato di Ottawa derivino più dal comportamento criminale di chi fa ricorso alle mine, nonostante una firma posta sotto a un testo, che non dal governo finlandese ed è probabile che i programmi di Helsinki per il nuovo modello di difesa verranno rispettati con precisione; ma non è comunque possibile condividere il punto di vista finlandese, per tutte le ragioni più volte esposte nel corso della presente trattazione.

3 . 4 – Altri Stati

Le informazioni raccolte attraverso il questionario forniscono molti elementi sul destino del Trattato di Ottawa e pochi, ma interessanti, stimoli su strade extra-giuridiche percorribili dalla battaglia contro le mine.

Questa tendenza è generalizzata e confermata dall’indagine di altre fonti. Trovare dichiarazioni ufficiali o articoli di stampa che parlino del trattato e dei numeri delle mine è relativamente facile, ma diventa quasi impossibile raccogliere notizie o idee che si rivolgano al futuro e che propongano strade diverse da quelle più volte incontrate nel corso di questo lavoro (universalizzazione del trattato, assistenza alle vittime, distruzione degli stock, sminamento, ecc.).

Prima di analizzare il punto di vista delle ONG prendiamo in esame ancora qualche rappresentante della Comunità Internazionale.

3 . 4 . 1 – Cambogia  e Yemen

I Ministeri degli Affari Esteri di questi due Paesi, pur non avendo partecipato al questionario, sembrano particolarmente attenti al problema delle mine e forniscono molte informazioni direttamente attraverso la rete internet.

La Cambogia e lo Yemen sono realtà che conoscono da vicino i danni procurati dalle mine e svolgono un’azione di sensibilizzazione nelle assisi internazionali attraverso la loro tragica esperienza.

Il materiale raccolto attraverso i due ministeri non introduce nuovi elementi all’analisi, ma è sembrato comunque importante sottolineare il ruolo che possono svolgere questi Stati nel continente asiatico (che diserta Ottawa più di ogni altro).

In particolare lo Yemen sembra essere il punto di appoggio su cui fare leva per avvicinare il Medio Oriente e il mondo arabo al bando sulle mine.

Proprio in questo Paese si è svolto un importante seminario nel novembre del 1997[35], nella capitale Sana’a.

L’appuntamento in questione ha rappresentato un caso abbastanza isolato di coinvolgimento della regione mediorientale sui problemi causati dalle mine e ha visto la partecipazione di governi che normalmente non rispondono a questi stimoli[36]: Arabia Saudita – Egitto – Emirati Arabi Uniti – Etiopia – Giordania – Iran – Kuwait – Libano – Oman – Palestina – Turchia – Sudan.

Gli interventi dei convenuti non fanno che riproporre i temi già analizzati più volte: l’impossibilità di accedere a Ottawa è insita nella necessità di poter usare le mine a difesa del proprio territorio, contro i terroristi e le truppe di occupazione avversarie e molti Paesi propongono di emendare il troppo radicale testo del trattato.

Arabia Saudita, Egitto, Iran e Turchia fanno esplicito riferimento alla Conferenza sul Disarmo e sostengono che questo tipo di decisioni vadano adottate per consensus.

Il risultato finale di quel seminario non soddisfa molto e oggi solo Yemen, Giordania e Qatar sono Stati Parti del Trattato di Ottawa, ma rimane il peso che questi Paesi possono esercitare in quell’area di mondo. Lo Yemen dovrebbe essere supportato politicamente ed economicamente per continuare a lavorare nella direzione del seminario del novembre 1997.

3 . 4 . 2 – Cina – Russia – Stati Uniti

I tre membri permanenti del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, fuori dal Processo di Ottawa, non hanno inteso dare risposta alle domande che sono state loro proposte. Cina e Russia non concedono nemmeno un accesso facilitato alle notizie attraverso fonti alternative, mentre negli USA le voci a favore del bando sulle mine sembrano raggiungere i canali stampa senza troppi problemi.

Per conoscere l’attuale posizione di Cina e Russia dobbiamo attingere al lavoro di ICBL.

Il governo cinese risponde in questo modo alle sollecitazioni delle ONG:

China has always attached great importance to accidental injury to civilians caused by landmines. It supports proper and rational restrictions placed on the use and transfer of landmines. At the same time, the Chinese Government holds that, in addressing the problems of landmines (APLs), due regard should be given to both humanitarian concerns and legitimate self-defence needs of sovereign countries. All countries are entitled to safeguard the security of their nation, territory, and people by legitimate military means, including the use of APLs, according to the purposes and principles of the UN charter. As a developing country with long land borders, China has to reserve the right to use APLs for self-defence on its own territory pending an alternative to replace APLs and the presence of security and defence capability[37].

Il Presidente Putin non ha ancora rilasciato dichiarazioni ufficiali sulle mine dal giorno del suo insediamento, ma ha incaricato la Duma (maggio 2000) di procedere alla ratifica dell’emendato Protocollo II alla CCAC del 1980.

Per conoscere il punto di vista di Mosca è necessario risalire al dicembre 1999.

The Russian Federation believes that what is important to solve the ‘mines’ problem is a realistic approach taking into account the interests of all the members of the international community and, first of all, of the states which historically or due to their geostrategic location are compelled to rely on this defensive weapon to ensure their security. The Russian Federation advocates the search for mutually acceptable solutions for anti-personnel mines and opposes the division of the international community into supporters of a hasty ban on anti-personnel mines and those states that are still unable to take this step and propose other ways to meet this goal[38].

Diventa abbastanza difficile commentare le parole di chi considera il Trattato di Ottawa come un “bando precipitoso”, mentre nel mondo ogni venti minuti c’è una mina in meno sul terreno e una vittima in più all’ospedale o all’obitorio.

Per quanto riguarda gli Stati Uniti è possibile seguire gli sviluppi sulla questione delle mine in molti modi. La Campagna Internazionale per la Messa al Bando delle Mine Antiuomo[39] è nata proprio sul suolo nordamericano, importanti organi di stampa come la CNN ne hanno parlato spesso e anche alcuni esponenti politici si trovano su una posizione che diverge da quella del Presidente Clinton, a cominciare dal senatore del Vermont Patrick Leahy. 

Proprio il presidente Clinton[40] ha contribuito ad accelerare il processo di pace contro le mine attraverso un discorso molto deciso in opposizione agli ordigni tenuto in occasione della seduta inaugurale dell’Assemblea Generale dell’ONU nel 1996, che ha agevolato analoghe prese di posizione dei governi europei, americani e africani. Probabilmente gli Stati Uniti non pensavano che la messa al bando delle mine sarebbe arrivata a destinazione in un tempo così rapido[41]

Ora il programma statunitense è abbastanza chiaro: il presidente si è impegnato ad aderire al bando entro il 2006, utilizzando il tempo che resta per sviluppare sistemi di difesa alternativi rispetto alle mine. Il governo americano sta spendendo parecchi soldi per sviluppare questi nuovi sistemi, ma secondo gli esperti si tratta di soldi buttati via, perché le nuove mine che vengono sviluppate non avranno comunque quella capacità di discriminare tra il soldato e il civile e saranno automaticamente fuori legge per chi partecipa a Ottawa[42]

Tutte e tre le “potenze” del Consiglio di Sicurezza hanno sempre lavorato per riportare la questione mine entro i binari della Conferenza sul Disarmo[43] di Ginevra e lavorano costantemente per accreditare l’emendato Protocollo II della CCAC come valido strumento per fermare la carneficina causata dalle mine.

I tre i Paesi sono produttori di mine e tendono a conservare il giro di affari procurato dalla vendita delle armi.

I tre governi dimostrano una forza e un’arroganza tali da non dover considerare granché i piani dei propri alleati.

In particolare gli Stati Uniti, sulla questione delle mine, sembrano non tenere nella minima considerazione le alleanze “storiche” che ne hanno sempre contraddistinto l’azione:

- al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite gli USA condividono la posizione di Cina e Russia, in opposizione a Francia e Gran Bretagna ;

- nella NATO gli USA siedono vicino alla Turchia e lontano dai fedelissimi alleati inglesi ;

- sul continente americano l’unico alleato degli USA è Fidel Castro ;

- in Europa agli USA resta la sola compagnia di Milosevic ;

- nel Medio Oriente il gruppo si infoltisce e, accanto agli amici dell’Arabia Saudita, gli USA trovano un appoggio deciso in Saddam Hussein.

3 . 4 . 3 – Italia

L’Italia non ha inteso partecipare alla ricerca attraverso il questionario, ma la sua posizione è importante per diversi aspetti. In primo luogo l’industria statale e privata italiana[44] in tema di mine ha portato a una produzione complessiva che le permetteva di figurare al terzo posto nella classifica mondiale, superata solo dall’Unione Sovietica e dalla Cina. In secondo luogo l’Italia è il Paese europeo che, avendo avuto una produzione tanto elevata, affronta i maggiori problemi riguardo alla distruzione degli stock.

La politica italiana per la messa al bando delle mine ha seguito tutto il tragitto di Ottawa[45], senza mai optare per un ruolo di primo piano e senza mai contravvenire agli obblighi assunti. La posizione di politica estera nella lotta contro le mine ha seguito le normali abitudini italiane nei processi di pace e di disarmo. Il governo di Roma è sempre presente in queste occasioni, mantenendo un atteggiamento di stretta collaborazione con i partner europei e mondiali. Per usare una metafora ciclistica, l’Italia non si lascia mai staccare dal gruppo, ma non si mette nemmeno mai in testa a tirarlo.

Oggi l’Italia ha fermato completamente la produzione di mine, procede alla eliminazione degli stock in linea con i tempi del Trattato di Ottawa e si è dotata della necessaria legislazione interna[46] prevista all’art.9.

Il 6 settembre 2000 la Farnesina ha ospitato una riunione del Comitato nazionale per le azioni umanitarie contro le mine antipersona. Il comitato non è un organo istituzionale e ha una composizione variabile che incorpora i Ministeri di Esteri e Difesa, nonché i rappresentanti delle ONG attinenti al problema.

La riunione del mese di settembre è servita ad aggiornare i presenti sulle aspettative per la Conferenza di Ginevra[47] e a chiarire l’attuale posizione italiana in tema di mine.

Al termine dei lavori il Sottosegretario agli Esteri Rino Serri ha riassunto le opinioni emerse e ha indicato i futuri passi che il governo vuole portare avanti:

-         rapida conclusione dei lavori parlamentari per l’istituzione del “Fondo per lo sminamento umanitario” ora in discussione alla Camera dei Deputati ;

-         nuova linfa alla campagna contro le mine attraverso l’impegno italiano a sollevare con forza la questione entro il G7. L’Italia presiederà il G7 dall’estate 2001 e cercherà la collaborazione di Canada e Germania ;

-         intervento sui Paesi “amici” fuori da Ottawa affinché assicurino una pronta adesione al trattato ;

-         predisposizione di un sito web del Ministero della Difesa per tenere aggiornati i dati sulla distruzione degli stock ;

-         ampio spazio all’analisi dei progressi scientifici raggiunti dalla ricerca per lo sminamento ;

-         incarico all’On. Vecchi e al dottor Iannuzzi (Ministero degli Esteri) per studiare le conseguenze delle cluster bombs al fine di decidere se intraprendere una campagna per la loro eliminazione.

Il comitato ha affrontato con attenzione i problemi relativi allo sminamento, ma non ha dato molto spazio all’assistenza sanitaria alle vittime.

Le richieste di pressione sui Paesi politicamente e geograficamente vicini all’Italia sono state avanzate dai rappresentanti della Campagna Italiana per la messa al Bando delle Mine Antiuomo. Le richieste si sono indirizzate verso Stati Uniti, Iran, Libia, Etiopia ed Eritrea. Gli stessi rappresentanti hanno introdotto il problema delle cluster bombs[48] (che quando non scoppiano nell’impatto con il terreno vanno a far parte della famiglia degli unexploded ordnance – UXO).

Le risposte delle istituzioni politiche alle richieste delle ONG sono state positive, ma il reale impegno che ne conseguirà non è semplice da prevedere e per ammissione dell’On. Serri, la proposta relativa al G7 non era ancora stata discussa con il Ministro Dini. La pressione politica sui Paesi politicamente vicini all’Italia sarebbe un’interessante novità, perché fino ad ora l’Italia non è andata al di là di una ferma opposizione alle mine non supportata da interventi ulteriori per l’universalizzazione del trattato.

I dati positivi sono rappresentati dalla composizione del comitato (in linea con lo spirito di Ottawa) e dai dati della Difesa nell’eliminazione degli stock[49].

3 . 5 – Conferenza sul Disarmo

All’inizio di questo lavoro di ricerca non era stato preventivato di analizzare tutta la documentazione della Conferenza sul Disarmo in tema di mine antiuomo, ben sapendo che l’unico documento ufficiale in grado di collaborare alla eliminazione totale degli ordigni era il Trattato di Ottawa, ma i continui riferimenti all’assise ginevrina hanno reso opportuna l’analisi di questa documentazione.

Sono stati presi in esame tutti i documenti predisposti dalla Conferenza sul Disarmo a partire dall’inizio del Processo di Ottawa fino all’anno in corso, ma non è risultato esserci niente di utile che non fosse la presa d’atto dell’entrata in vigore del Trattato di Ottawa e la presentazione di alcune leggi nazionali comprensive di disposizioni penali per i trasgressori del trattato stesso.

Il resto della documentazione presenta molte dichiarazioni d’intenti a favore di un bando sulle mine, ma nessuna decisione ha trasformato in fatti concreti le belle parole che vi sono contenute. Il brano che segue è forse l’esempio più eclatante di quanto detto ed è tratto dalla dichiarazione del Presidente Clinton alla sessione di apertura dei lavori del 1997 :

(documentazione ufficiale in lingua francese)

Négociation aussitôt que possible d’une interdiction générale, globale, des mines terrestres antipersonnel. Ces armes de guerre ont causé de terribles souffrances à des civils innocents et représentent un énorme obstacle au rétablissement d’une vie meilleure après qu’un conflit a pris fin. Tous les enfants du monde méritent de marcher sur la terre en sécurité”.

Quei bambini stanno ancora aspettando, mentre il mandato di Clinton è agli sgoccioli e sia Al Gore che George Bush jr. hanno già fatto sapere che non intendono cambiare la politica del loro predecessore riguardo alle mine.

3 . 6 – Prospettive di universalizzazione del trattato

Due dati molti sintetici possono aiutare a capire quali Paesi sembrano oggi essere più vicini all’adesione a Ottawa e quali invece non mandano segnali in questa direzione.

Mines Action Canada, che lavora a stretto contatto con ICBL e con il Ministero degli esteri canadese, divide in due sezioni i Paesi che non partecipano al bando sulle mine, distinguendo tra coloro che sembrano “indecisi o di cui non si conosce la posizione ufficiale” (1) e coloro che chiaramente si “oppongono” al Trattato di Ottawa (2)[50].

(1):

Afghanistan    Armenia          Azerbaijan      Bahrain           Bhutan

C.A.R.[51]          Comoros         Congo             Congo D.R.[52]  Eritrea

Estonia           Finlandia        Georgia          Iraq                 Israel

Kazakhstan     Kuwait                        Kyrgyzstan      Laos                Latvia

Lebanon          Micronesia      Mongolia        Morocco         Myanmar

Nepal              Nigeria            North Korea   Oman              Palau

Papua N.G.[53]  Korea              Saudi Arabia   Singapore       Somalia

Turkey            U.A.E.[54]          Uzbekistan      Vietnam          Yugoslavia

 

(2):

Belarus                       China                          Cuba

Egypt                          India                           Iran

Libya                          Pakistan                     Russian Federation

Sri Lanka                    Syria                           United States

Il secondo dato è fornito dal rapporto giornaliero che predispone ICBL raccogliendo tutte le informazioni sulle mine di cui può disporre.

Il documento del 24 luglio 2000[55] è stato stampato all’indomani dell’adesione al Trattato di Ottawa di tre Stati africani che portavano il totale delle ratifiche da 96 a 99. ICBL faceva quindi appello ai suoi sostenitori perché si potesse arrivare alla cifra tonda di 100 prima della Conferenza di Ginevra.

Insieme all’appello ICBL divideva in due sezioni i Paesi firmatari del trattato, ma che non avevano ancora depositato lo strumento di ratifica, indicando nella prima sezione quelli che sembravano più vicini all’adesione (A) e nella seconda sezione quelli da cui era probabilmente più difficile ottenere una risposta positiva in tempi brevi (B)[56].

(A):

Brunei             Cameroon                  Cape Verde                Colombia

Cook Isl.         Gabon                        Gambia                      Maldives

Malta              Moldova                     Saint Vincent              Sao Tome e Princ.

Tanzania         Uruguay                     Vanuatu                      Zambia

(B):

Algeria            Angola                                    Bangladesh                 Burundi

Chile               Cyprus                                    Ethiopia                      Greece

Guinea-B.[57]     Guyana                       Haiti                           Indonesia

Kenya             Lithuania                    Madagascar               Marshall Isl.

Mauritania      Poland                                    Romania                     Sierra Leone

Suriname        Ucraine

Le previsioni di ICBL si sono rivelate molto attendibili. Dal giorno della pubblicazione di questi dati, 4 Stati del gruppo A (Colombia – Gabon – Maldives – Moldova) e 2 del gruppo B (BangladeshMauritania) hanno optato per l’adesione al Trattato di Ottawa. A questi si sono aggiunti Nauru e Kiribati che non facevano parte dei firmatari.                

 


 

[1] Il Canada non ha collaborato soltanto attraverso l’invio delle risposte al questionario, ma anche fornendo parecchio materiale video e inviando pubblicazioni ricche di informazioni redatte nel corso del Processo di Ottawa. Il Canada è inoltre uno dei pochi Paesi al mondo che dispone di informazioni dettagliate sulle mine direttamente nella homepage del sito internet del suo Ministero degli Esteri (gli altri Ministeri degli Esteri che forniscono lo stesso servizio sono Cambogia, Giappone e Yemen).

[2] La risposta della Colombia è pervenuta in data 12 luglio 2000, due mesi prima della consegna del suo strumento di ratifica presso il Segretario Generale delle Nazioni Unite. Nella lettera il ministero colombiano segnalava che le procedure per la ratifica erano quasi giunte alla fine del loro iter parlamentare e la promessa è stata mantenuta.

[3] Il Ministero degli Esteri francese è stato il più sollecito nella propria risposta, ma si è limitato a segnalare l’uscita, nelle librerie francesi specializzate, di una pubblicazione della “Commissione nazionale per l’eliminazione delle mine antiuomo” contenente la posizione ufficiale del governo. Detta pubblicazione non era ancora disponibile alla metà del mese di settembre 2000 ed è stato possibile consultarla solo perché distribuita alle delegazioni della SMSP di Ginevra (il governo francese non poteva certo sapere che chi gli aveva scritto vi avrebbe partecipato).

[4] La risposta giapponese si è limitata a segnalare le pagine web del Ministero degli Affari Esteri e della Missione Permanente presso le Nazioni Unite in cui è possibile ritrovare molta documentazione sulle mine.

[5] Un ringraziamento particolare, oltre a quanto già detto per il Canada, va ai Ministeri degli Esteri di Belgio, Finlandia, Monaco, Slovenia e Svezia, che hanno inviato una corposa documentazione oltre alle risposte al questionario.

[6] Israele e Sud Africa costringono in realtà a ridurre il numero dei contributi governativi da trentanove a trentasette, perché hanno inviato una lettera per dire che stavano predisponendo un documento dettagliato in risposta al questionario, ma tale documento non è mai giunto a destinazione.

[7] La cartina è tratta da “La France détruit ses dernières mines antipersonnel – Une étape clé dans la mise en œuvre de la convention d’Ottawa” Ministère de la Défence de la République Française.

La cartina è stata modificata per aggiornarla al 25.09.00.

[8] La dichiarazione è stata rilasciata al momento della firma del trattato il 25.02.99.

[9] Singapore si è rifiutato di fornire al Landmine Monitor i dati sull’attuale composizione degli stock di mine, ma si sa per certo che sta fabbricando modelli copiati da brevetti italiani. Vedi – ICBL –  Landmine Monitor (Toward a Mine-Free World) – Report 2000 – p.531 e ICBL – Landmine Monitor (Toward a Mine-Free World) – Report 1999 – pp.503-504.    

[10] Nel caso del Processo di Ottawa il problema è ancora più acuto, perché il dialogo non si svolge più a due, cioè tra i vertici del potere civile e quelli del potere militare, ma a tre, con l’introduzione degli esponenti delle ONG.

[11] Legge promulgata il 9 marzo1995 ed emendata il 24 giugno 1996. Vedi  Position de la Belgique dans le cadre de l’action contre les mines antipersonnel – Aprile 1999, pubblicazione disponibile presso il Ministero degli Affari Esteri del Belgio.

[12] MAECI Canada – La Convention d’Ottawa Un an après Quel en est le bilan? – p.8. Cit..

[13] Burkina Faso – Georgia – Giordania – India – Jugoslavia – Libano – Russia – Tailandia – Ucraina.

[14] Versione inglese della sigla francese CCAC usata nel corso di questo lavoro.

[15] Articolo 18 – Rules of procedures of the conference on disarmament.

[16] Articolo 42 – Rules of procedures of the conference on disarmament.

[17] Il Principato di Monaco ha inviato il testo della legge (Ordonnance Souveraine n°14.123 du 30 août 1999), che prevede pene detentive da 6 mesi a 5 anni e un’ammenda per chi viola qualunque disposizione del trattato (art.4); la durata della pena può essere estesa qualora risultino concomitanti violazioni di altre leggi del Principato (art.5); la disposizione si applica anche ai Monegaschi che si rendano colpevoli di tali violazioni all’estero (art.6); il tribunale ha il diritto di confiscare tutti gli oggetti e le somme di denaro usate in violazione del bando (art.7).

[18] ICBL – Landmine Monitor (Toward a Mine-Free World) – Report 2000 – pp. 15-16 – cit..

[19] La legislazione svizzera è stata adottata anche dal Liechtenstein, con due leggi sul controllo degli armamenti che comprendono le mine antiuomo.

[20] Vedi figura al paragrafo 1.1.4.

[21] M. CARTOSIO – L’ultima mina – “Rifondazione – Mensile di Politica e Cultura” – Aprile 1998 – www.rifondazione.it/rivista/1998aprile/cartosio.html .

[22] Il sostegno per lo sminamento diventa fondamentale per Bosnia e Croazia. I due Paesi insieme contano circa 6 milioni di mine e alla velocità attuale di bonifica non riusciranno a rispettare gli obblighi di Ottawa che vogliono il territorio totalmente sminato nell’arco di dieci anni.

[23] Anche le parole dei ministeri americani confermano che l’assenza di mine sul terreno rende più stabili i processi di pace. Ecuador e Perù hanno da poco concluso un trattato di pace che ha posto fine al conflitto tra i due Stati; l’impegno comune a collaborare per bonificare la frontiera tra i due Paesi è una delle componenti sostanziali di quel trattato di pace. Le stesse osservazioni si leggono nelle parole pronunciate da Ivan Cannabrava, ambasciatore brasiliano alla conferenza di Maputo del maggio 1999.

[24] Vedi  Ljubljana Regional Conference on Landmines – Chairman’s Summary. 

[25] La Svezia contribuisce a fornire un aiuto a quei Paesi (e sono molti) che vivono gli stessi problemi visti al paragrafo 3.2.1 per quanto riguarda il Cile.

[26] Un concetto simile è rimasto fissato nella memoria di chi scrive seguendo un intervento di Maurizio Maggiani nel corso di una delle tante conferenze di Emergency cui lo scrittore ha preso parte. Maggiani parlava dei doveri degli ex produttori di armi nei confronti dei Paesi in cui sono andati a seminare le loro mine e ha usato un’espressione molto efficace: “debito di sangue” (non me ne voglia Maggiani se la memoria mi tradisce). I produttori di armi non possono restituire un arto amputato alle vittime, ma possono frugarsi nelle tasche e destinare i propri soldi per la loro assistenza e per lo sminamento, andando a coprire parte di quel “debito di sangue” che hanno contratto con molti bambini in giro per il mondo.

[27] Statement by Mr. Anders Bjurner, Deputy State Secretary, The Ministry of Foreign Affairs to the First Meeting of States Parties to the Ottawa Convention – Maputo on 3-7 May 1999.

[28] Molti Paesi fuori dal bando sulle mine usano spesso espressioni che segnalano la necessità di fermare “l’uso indiscriminato delle mine”, ma fanno molta attenzione a non parlare mai di “bando totale”.

[29] La Turchia e gli Stati Uniti sono anche i due soli Paesi NATO che non condividono la messa al bando delle mine.

[30] La tensione tra i due Paesi sembra non conoscere tregua; nella terza settimana di settembre il TG1 italiano ha presentato alcuni servizi sulla disponibilità degli armamenti dei due Stati in caso di conflitto attivo.

[31] Secondo i dati del SIPRI (Stockholm International Peace Research Institute), nel quinquennio 1994-1998 Taiwan è risultato di gran lunga il primo importatore mondiale di armi convenzionali.

[32] Nello scorso giugno tre ufficiali dell’esercito sud coreano sono stati gravemente feriti dallo scoppio di due mine antiuomo nella zona demilitarizzata che divide le due Coree, il Tenente Colonnello Sul Dong-sup ha perso entrambe le gambe. Lo scoppio non è avvenuto nel corso di un conflitto, ma per un semplice sopralluogo: gli ufficiali sono stati colpiti dalle mine interrate dal proprio esercito. Vedi icblreport 27.06.00.

[33] Le rappresentative delle due Coree hanno sfilato unite alla cerimonia di apertura dei Giochi Olimpici di Sidney 2000: lo sport potrebbe, ancora una volta, battere un sentiero che diventerebbe poi più agibile per gli attori della politica.

[34] J. CARTER – U.S. Must Take Lead to Ban Land Mines – discorso pronunciato in data 23.06.97 alla Conferenza di Bruxelles di preparazione a quella di Ottawa del dicembre successivo – www.cartercenter.org/OPEDS/landmi.html .

[36] L’invito non è stato raccolto da Barhein – Eritrea – Gibuti – Iraq – Siria.

[37] ICBL – Landmine Monitor Report 2000 (Toward a Mine-Free World) – p.481- Cit..

[38] ICBL – Landmine Monitor Report 2000 (Toward a Mine-Free World) – p.833 – Cit..

[39] Per avere informazioni sulla Campagna statunitense per la messa al bando delle mine (USCBL) si può visitarne il sito web www.banminesusa.org . La campagna si compone di oltre 400 associazioni ed è presieduta da Jerry White (Executive Director of the Landmine Survivors Network).

[40] Il presidente statunitense ha dichiarato che una delle sue maggiori delusioni, negli otto anni di permanenza alla Casa Bianca, deriva dal non aver potuto sottoscrivere il bando sulle mine. Vedi –  ICBL – Landmine Monitor Report 2000 (Toward a Mine-Free World) – p.333 – Cit..

[41] Cfr. nota 38 del capitolo II.

[42] Vedi ICBL – icblreport – 5 luglio 2000.

[43] Tra il 1997 e il 1999 gli Stati Uniti hanno portato avanti tentativi di accordo sulla regolamentazione delle mine nella Conferenza sul Disarmo, ma senza successo.

[44] F. TERRERI – Produzione commercio ed uso delle mine terrestri. Il ruolo dell’Italia – Comune di Firenze – Edizioni Comune Aperto – Ottobre 1996. Vedi inoltre: ICBL – Landmine Monitor Report 1999 (Toward a Mine-Free World) – pp.712-736 e ICBL – Landmine Monitor Report 2000 (Toward a Mine-Free World) – pp.667-683 – Cit..

[45] Vedi – Intervento del Senatore Forcieri alla Conferenza in occasione della firma del Trattato e Forum d’azione Contro le mine – Ottawa 1-4 dicembre 1997. Un passo del suo intervento recita “…È questo intreccio tra volontariato, ONG, parlamenti, governi che si è rivelato fecondo e che va mantenuto ed intensificato: altro che mine intelligenti, sistemi sostitutivi ecc.. Deve diventare opinione comune che le mine non sono uno strumento di difesa, ma uno strumento di crimine verso l’umanità e verso quella parte di umanità più debole e indifesa come i poveri, le donne, i bambini…”.

[46] Legge 29 ottobre 1997, n.374 – Legge 26 marzo 1999, n.106.

[47] Cfr. paragrafo 6.1.

[48] Per una trattazione aggiornata di queste armi, vedi: R. McGRATH – “Cluster bombs. The military effectiveness and impact on civilians of cluster munitions – Mennonite Central Committee – The UK working group on landmines.

[49] Cfr. paragrafo 6.2.7.

[50] Nell’analisi non vengono presi in considerazione i Paesi che hanno firmato, ma non ancora ratificato – www.minesactioncanada.com/region.cfm?region=all .

[51] Central African Republic.

[52] Congo Democratic Republic (ex Zaire).

[53] Papua New Guinea.

[54] United Arab Emirates.

[55] ICBL – icblupdate – 24 luglio 2000.

[56] A differenza di Mines Action Canada, l’analisi di ICBL comprende i soli Paesi che hanno firmato, ma non ratificato, il Trattato di Ottawa.

[57] Guinea-Bissau.