SEZIONE I - PASSATO
CAPITOLO
I
1 . 1 – Cos’è una mina antiuomo 1 . 1 . 1 – Le mine Il vocabolario Devoto-Oli[1] fornisce la seguente definizione di mina: “(1) Cavità aperta artificialmente nella quale si colloca e si fa esplodere una carica di esplosivo per l’abbattimento di rocce o murature; part., la sola carica di esplosivo – Malattia delle m. (detta anche poian): intossicazione acuta da gas di esplosione che colpisce i minatori. (2) Nella tecnica militare, ordigno costituito essenzialmente da un recipiente carico di esplosivo e munito di dispositivo atto a provocarne l’esplosione a comando o a contatto, o a breve distanza. (3) Arc., miniera, cunicolo sotterraneo – Ciascuna delle gallerie scavate nel tessuto parenchimale delle foglie da alcune larve di insetti”. Le mine hanno un utilizzo civile (in particolare nel campo dell’estrazione mineraria) e uno militare. In riferimento a questo secondo settore l’Enciclopedia Universo scrive[2]: “Nell’accezione militare, col termine mina si indicano gli ordigni esplosivi di tipo diverso, destinati ad offendere truppe e mezzi terrestri, oppure unità navali in navigazione o all’ormeggio. Le mine terrestri sono di due tipi: quelle antiuomo, che funzionano a pressione o a strappo, e quelle anticarro, che scoppiano solo a pressione. Esse sono generalmente interrate, ma possono anche essere occultate tra la vegetazione. Alcune mine antiuomo, anziché a terra, esplodono a circa 1 m dal suolo. Gli elementi principali di una mina sono: il recipiente, di forma e materiale vario, che contiene l’esplosivo, ed il congegno di accensione. Per il funzionamento a pressione la mina è provvista di piatto o urtanti; la mina a strappo è fornita di un filo d’inciampo”. Una prima suddivisione deve essere quindi fatta tra: MINE TERRESTRI e MINE NAVALI. Nel primo gruppo bisogna poi ulteriormente distinguere tra: MINE ANTIUOMO e MINE ANTICARRO. Questa seconda distinzione non è del tutto pacifica, perché esistono particolari tipi di mine anticarro studiate per attivarsi anche in presenza di un essere umano e questa categoria intermedia sarà più volte trattata nel corso del lavoro. Per il momento è sufficiente considerare che le due mine si distinguono non solo per la loro destinazione, ma anche per dimensioni e quantità di esplosivo che vi è contenuto: - le mine antiuomo sono di piccola taglia, contengono da 10 a 250 grammi di esplosivo e scoppiano a una pressione compresa tra 0,5 e 50 chilogrammi ; - le mine anticarro sono più grosse, contengono da 2 a 9 chili di esplosivo e scoppiano a una pressione compresa tra 100 e 300 chilogrammi[3]. 1 . 1 . 2 – Le mine antiuomo La Convenzione di Ottawa per la messa al bando delle mine antiuomo fornisce questa definizione[4]: Testo Inglese – Art.2 comma 1 “Anti-personnel mine” means a mine designed to be exploded by the presence, proximity or contact of a person and that will incapacitate, injure or kill one or more persons. Mines designed to be detonated by the presence, proximity or contact of a vehicle as opposed to a person, that are equipped with anti-handling devices, are not considered anti-personnel mines as a result of being so equipped. Testo Francese – Art.2 comma 1 Par “mine antipersonnel”, on entend une mine conçue pour exploser du fait de la présence, de la proximité ou du contact d’une personne et destinée à mettre hors de combat, blesser ou tuer une ou plusieurs personnes. Les mines conçues pour exploser du fait de la présence, de la proximité ou du contact d’un véhicule et non d’une personne, qui sont équipées de dispositifs antimanipulation, ne sont pas considérées comme des mines antipersonnel du fait de la présence de ce dispositif ". La mina antiuomo[5] è quel particolare tipo di mina che esplode per la presenza, la prossimità o il contatto di una persona. Questa definizione è di fondamentale importanza per comprendere l’effettiva utilità di questo tipo di arma. È assolutamente da rifiutare la traduzione non ufficiale in lingua italiana dell’art.2 comma 1 del Trattato di Ottawa presente nella Gazzetta Ufficiale[6], che stravolge le definizioni riportate nei testi in lingua inglese e francese. Scrive la Gazzetta: “Per ‘mina antipersona’ si intende una mina progettata per essere fatta esplodere quando si trova in presenza, prossimità, o contatto di una persona e che sia capace di rendere invalide, di ferire o di uccidere una o più persone. Le mine progettate in modo per essere fatte esplodere quando si trovano in presenza, prossimità contatto di un veicolo, e che siano dotate di dispositivi ‘anti-handling’, non sono considerate mine antipersona proprio per il fatto di essere dotate di questi congegni”. Questa pessima traduzione riesce a contenere, in un solo comma, sei tra errori e omissioni[7], ma quello veramente grave è riportato nella prima riga e ripetuto nella terza: le mine antiuomo non vengono “fatte esplodere”, bensì “esplodono”, come è scritto nei testi ufficiali; proprio qui sta la differenza tra le mine e le altre armi. Chi utilizza una spada, preme il grilletto di una pistola, spara una raffica di mitragliatrice o sgancia una bomba compie un atto di offesa nei confronti di un obbiettivo definito. L’obbiettivo può essere una persona o una cosa e la distanza che lo separa da chi ha fatto partire il colpo può variare da pochi centimetri fino a parecchie centinaia di metri, ma esiste comunque un rapporto diretto tra l’uso dell’arma e i suoi effetti. Questo invece non avviene nel caso delle mine, che agiscono in un rapporto indiretto. Chi posa una mina sul terreno non sa né quando, né come, né chi la farà detonare. Si presume che le mine vengano interrate nella speranza di colpire un nemico precedentemente identificato, ma non esiste certezza che sarà poi proprio quel nemico a causarne l’attivazione. La mina è un’arma semplice, tecnologicamente elementare e molto economica. Viene studiata per ferire, mutilare o uccidere indiscriminatamente chiunque ne causi la detonazione e tutte le altre persone che vi si trovino in prossimità. Una volta posata sul terreno rimane attiva per decenni. Uscendo dalle definizioni tecniche e giuridiche ci piace ricordare le parole di Moni Ovadia: “Le mine antiuomo, paradigma di viltà, strumenti di morte proiettati nel futuro delle giovani generazioni che prediligono i bambini perché sono il futuro delle genti, vengono prodotte e disseminate da uomini “decenti” che siedono nelle assise internazionali e commerciate da insospettabili uomini d’affari con dovizia di illustrazioni sulla loro efficacia. Questi fiori metallici dell’infinita infamia umana, lacerano, accecano, sbrindellano, cancellano parti di vita, creano voragini di antimateria, progettano il non-uomo”[8]. 1 . 1 . 3 – Genesi delle mine antiuomo Il principale testo italiano di tecnica militare degli anni ’30 così definisce la mina: “Chiamasi così quello scavo, o buco, che si fa nel terreno, nelle mura o in una roccia, o in un’opera d’arte, affine di disunire, rompere e mandare in aria le suindicate materie; s’intende anche qualunque lavoro sotterraneo che si fa pel fine sovraindicato. Con espressione più precisa la cavità dove si colloca la polvere si dice camera della mina, la quale, quando contiene la carica, chiamasi forno o fornello della mina”[9]. Più di recente una diffusa opera di divulgazione inglese propone una definizione tecnica ben diversa. Le mine terrestri oggi sono: “…the small anti-personnel mine designed to wound; and the lager anti-tank mine designed to break the track of a tank. Both categories were cheap to produce and easy to handle, but more difficult to detect and remove once buried in the ground. […] Modern anti-personnel mines are made in innocent shapes to look like small stones or other casually discarded objects and then scattered widely and rapidly from helicopters or vehicle-mounted projectors”[10]. Tra le due definizioni trascorrono gli anni del cambiamento della mina terrestre, prima come strumento di guerra alle fortificazioni, poi di terrorismo e perfino di distruzione di massa. Per comprendere meglio questo radicale ripensamento strategico nell’uso delle mine, è forse necessario fare un passo indietro. Le mine sono uno degli strumenti utilizzati dall’uomo nel momento bellico e il loro sviluppo è collegato a quello del modo di fare la guerra. Dedichiamo quindi alcune righe a capire come è cambiato il quadro generale entro il quale si inseriscono le mine. Da una buca scavata nel fango o dalla cabina di un supersonico il combattente moderno ha un solo obbiettivo principale: la popolazione civile avversaria. Le guerre moderne non sono più un affare circoscritto ai militari; dalla Seconda Guerra Mondiale in poi ogni conflitto ha visto i civili come vittime principali. La Prima Guerra Mondiale aveva dimostrato che ogni applicazione tecnologica al conflitto poteva dare solo vantaggi momentanei, ogni miglioria alle armi utilizzate, ogni nuovo gas o aereo dopo poco era compensato da una contromisura avversaria. Era la guerra statica delle trincee, senza nessuno sbocco; si potevano annientare intere classi demografiche negli attacchi alle fortificazioni avversarie, ma non c’era altro. I più spregiudicati strateghi militari cominciarono a pensare che la guerra si poteva vincere su altri fronti, la stessa fine della Germania, strangolata dall’embargo, era la dimostrazione che la guerra aveva bisogno di allargare i suoi teatri. Negli anni ’20 e ’30 da più parti si cominciò a pensare che il potere aereo (l’uso di grandi velivoli da bombardamento) avrebbe permesso di vincere le guerre del futuro solo sul piano globale, quello strategico, mettendo in secondo piano il singolo fante in trincea. Uno dei massimi teorici di questa concezione innovativa della guerra fu Giulio Douhet che descrisse come qualche centinaio di apparecchi avrebbe potuto vincere una guerra semplicemente distruggendo le industrie, le infrastrutture e le città avversarie[11]. L’idea di Douhet fu ripresa da altri, come il britannico Hugh Montague Trenchard e l’americano William Mitchell, che agirono sui loro governi affinché si creassero delle forze aeree strategiche; la guerra civile spagnola e soprattutto la Seconda Guerra Mondiale videro l’applicazione sistematica di queste nuove strategie. Aggredire la nazione, sul piano della popolazione, della ricchezza e della “volontà” avversarie, significa avere un vantaggio su tutti i fronti. I militari, visti i primi incoraggianti esperimenti, cambiarono il loro obbiettivo principale: non fare più la guerra al proprio omologo, ma scatenare il conflitto contro tutto ciò che rappresentava l’avversario. Tutto venne ripensato in modo da massimizzare quelli che una volta erano chiamati gli “effetti indesiderati”: le bombe dovevano produrre il maggior numero possibile di schegge; persino i semplici proiettili dei fucili persero la selettività e quella forma di autolimitazione delle ferite imposta dalle Convenzioni di Ginevra. Era una visione “di massa” della guerra: il singolo ordigno, il singolo combattente, doveva annientare il maggior numero possibile di nemici. I civili, che fino ad allora erano stati vittime incidentali delle guerre, divennero l’obbiettivo primario. L’annientamento fisico dell’avversario fu perseguito con ogni mezzo, la tecnologia fu asservita a questo scopo in uno sforzo titanico che portò alla creazione dell’arma totale: la bomba atomica[12]. Dovunque era il nuovo spirito della guerra a comandare, i nuovi nemici venivano perseguiti con tutti i mezzi, anche senza gli alti costi della bomba atomica. Nel loro piccolo tutti si ingegnarono a ripensare le vecchie armi per trovarne un utilizzo in questa lotta totale. Se nella Prima Guerra Mondiale le vittime civili erano state meno del 10% , nella seconda erano già salite a oltre il 50%[13]. Nei decenni successivi alla Seconda Guerra Mondiale (periodo di massima prosperità per i Paesi occidentali) le guerre che si sono combattute hanno inciso pesantemente sulle popolazioni civili. Le guerre degli ultimi ’50 anni vengono definite da alcuni come “conflitti a bassa intensità”, semplicemente perché durante il loro svolgimento non si è mai giunti all’uso di esplosivi nucleari, ma sono state vere e proprie campagne di genocidio (più o meno tecnologizzato) portate avanti con il solo scopo di cancellare l’avversario. Tutte le guerre, sia quelle di indipendenza delle colonie, che quelle di attrito tra i due blocchi, che infine quelle interne, hanno visto l’impiego di armi di distruzione di massa, anche se “addomesticate” per l’uso in questi conflitti secondari. L’utilizzo dei bombardieri B52 in Vietnam, per colpire il Nord e la Cambogia, o gli attacchi chimici di Saddam Hussein nei confronti dei Kurdi o la dispersione incontrollata di milioni di mine antiuomo sono state l’interpretazione moderna della lotta alle nazioni teorizzata da Douhet. I militari di oggi non amano l’immagine che deriva da questo modo di fare la guerra, ma è innegabile che l’alibi dello scontro tra guerrieri, del confronto cortese tra cavalieri del cielo, è insostenibile quando a parlare sono le statistiche. Le mine antiuomo non sfuggirono alla logica appena descritta. Tornando alle definizioni viste all’inizio del paragrafo, notiamo che l’enciclopedia degli anni ’30 non considera le mine terrestri come oggi le conosciamo, infatti l’impiego durante la Prima Guerra Mondiale di strumenti simili alle mine odierne è relegato tra le cosiddette armi perfide: le trappole esplosive; mentre le mine antiuomo avevano prevalentemente funzione di difesa di quelle anticarro, per impedire a uno sminatore di avvicinarsi e neutralizzarle. È la seconda Guerra Mondiale il grande teatro operativo di questi ordigni, con milioni di mine interrate in Africa del Nord, sulle coste del continente europeo e lungo le linee difensive tedesche (solo sulla Linea Gotica ne vennero disposte oltre due milioni)[14]. Inizialmente le mine sono semplici contenitori metallici dotati di un sistema di innesco a scatto, ma subito vengono apportate migliorie, tra le quali la costruzione in legno (iniziando così una lotta con i metal detector che va avanti da sempre), mentre le mine anticarro hanno sistemi anti-rimozione per rendere sempre più difficile l’opera di bonifica. Numerose sono le testimonianze di questa lotta tra l’intelligenza dello sminatore e l’astuzia di colui che aveva disposto le mine sul terreno[15]. Il secondo dopoguerra vede l’applicazione su larga scala della tecnologia delle materie plastiche alle mine, ma vede soprattutto l’evoluzione nei sistemi di dispersione e interramento dei dispositivi. Già alla fina della guerra i Tedeschi in ritirata avevano iniziato a usare le mine in funzione terroristica nei confronti della popolazione civile (più che degli Alleati in avanzata[16]). Le guerre contemporanee non possono fare a meno dell’uso indiscriminato delle mine, specialmente quelle antiuomo, disseminate ovunque sul territorio dell’avversario con l’ausilio di aerei ed elicotteri: un uso terroristico che mira a raggiungere con spregiudicatezza e con una spesa relativamente limitata gli effetti ipotizzati in ogni teoria di distruzione di massa. Le mine, nel secondo dopoguerra, cessano di essere strumenti militari di tipo tattico e raggiungono un livello di distribuzione tale da farle diventare un’arma strategica vera e propria. L’immediatezza nel raggiungere l’obbiettivo della sopraffazione dell’avversario data dalle altre armi di distruzione di massa, nucleari o altro, viene posta in secondo piano rispetto alla diffusione nello spazio e soprattutto nel tempo dello stillicidio di “piccoli” danni provocati dalle singole mine, che una volta ricondotti al totale non possono che far pensare proprio a un risultato strategico. Tutti i grandi teatri di guerra (Corea, Vietnam, Medio Oriente, Angola, Afghanistan[17], Balcani) hanno visto il diffondersi di milioni e milioni di mine. Senza nessun timore gli strateghi hanno ipotecata per decenni la sopravvivenza di intere popolazioni ben sapendo che: “La mina di terra è l’arma più cieca, insidiosa e efficace tra tutte le esistenti. Una mina attivata in un terreno è come un proiettile d’arma da fuoco che sparato seguiti la sua corsa per giorni, mesi, anni, finché non incontra un corpo da ferire… Se questo non avviene, la mina resta sicura di sé, paziente, al suo posto…”[18]. I Paesi occidentali, apparentemente non coinvolti nella maggior parte dei conflitti della seconda metà del ‘900, hanno in realtà svolto un ruolo primario nelle vicende descritte. Gli Stati che oggi compongono l’Unione Europea e le due superpotenze sono stati grandi produttori ed esportatori di mine. Quando il linguaggio delle armi ha lasciato il posto alla Guerra Fredda, Sovietici e Americani si sono affrontati indirettamente su diversi campi di battaglia, rifornendo le fazioni amiche di un gran quantitativo di mine antiuomo. Questo tipo di intervento ha agevolato una rapida diffusione di ordigni per i vari continenti, senza che le superpotenze si preoccupassero di recuperarne le scorte al termine delle ostilità. In questo modo le mine sono andate ad accumularsi nei magazzini di eserciti e fazioni di ribelli. In altre aree del mondo (soprattutto in Africa) la pesante eredità delle zone minate è invece il frutto del processo di decolonizzazione, processo raramente pacifico, che ha condotto alla nascita di Stati fragili, i cui confini sono stati spesso difesi dalle rivendicazioni altrui attraverso l’uso di mine antiuomo. Un’ultima fondamentale considerazione sulla genesi delle mine e della guerra riguarda le conseguenze che ne derivano alla salute dei bambini. Questi soggetti indifesi non sembrano godere di grande protezione da parte degli adulti. I nostri organi di stampa sono spesso infarciti di articoli che parlano di pedofilia, di sfruttamento dei minori per lo spaccio della droga e di bambini-soldato nelle aree più povere del mondo. Un trattamento non certo migliore è loro riservato da chi progetta e utilizza le mine antiuomo. Le Nazioni Unite e il Comitato Internazionale della Croce Rossa calcolavano, all’inizio degli anni ’90, nel 93% del totale il numero delle vittime civili delle guerre, mentre i combattenti si attestavano al 7%. I minorenni da soli erano il 36%. Questi dati non sono il frutto di disgrazie involontarie, ma l’esatto risultato cui mirano gli strateghi delle guerre. Colpire un bambino “massimizza il profitto” di guerre che si protraggono per parecchi anni o decenni e il risultato sarà ancora maggiore se il bambino non rimane ucciso, ma mutilato o privato della vista.
In questo modo si ottengono parecchi risultati in un colpo solo: - viene eliminato un futuro combattente ; - viene eliminato un futuro elemento produttivo della società ; - si obbliga il nemico a provvedere per il sostegno economico e sanitario di un elevato numero di disabili ; - si va a colpire il morale della fazione avversaria, creando un “esercito” di amputati che popolano città e villaggi[19]. Per raggiungere questi obbiettivi è stato necessario intervenire anche sul piano della progettazione tecnica delle mine. Vedremo nel prossimo paragrafo come esistano mine disegnate in modo da sollecitare la curiosità di un bambino o come alcuni ordigni siano stati costruiti in maniera tale da poter essere tarati per scoppiare solo se sottoposti a una determinata pressione, che spesso coincide con quella esercitata sul terreno da una persona che pesa tra i 35 e i 50 chilogrammi (il che mette al sicuro animali di dimensioni modeste e combattenti in età adulta). 1 . 1 . 4 – Alcuni esempi Una vera e propria classificazione delle mine antiuomo non esiste. Chi si è occupato del problema le cataloga in base a diversi punti di vista, ad esempio separando le mine che funzionano a pressione da quelle munite di “filo d’inciampo”. Altre suddivisioni si basano sul tipo di “accenditore” di cui è dotata la mina (il più diffuso dei quali è quello meccanico). Il Governo canadese distingue invece tra Blast Mines (mine a raffica) e Fragmentation Mines (mine a frammentazione), mentre la Croce Rossa Canadese pone l’accento sulla forma e i materiali con cui queste armi vengono realizzate. Classificare le mine antiuomo è molto complicato per l’elevato numero di modelli esistenti. Sembra infatti che nell’ultimo cinquantennio siano stati presentati 300 o 400[20] brevetti diversi, a cui bisognerebbe aggiungere un imprecisato numero di modelli artigianali. Ci limitiamo quindi a fornire qualche esempio pratico: VALMARA 69 – Mina antiuomo ad effetto esteso Mina di produzione italiana. 105mm di diametro, 205mm di altezza, 3300g di peso. Colore verde o sabbia. La mina rientra tra quelle a frammentazione e tra quelle cosiddette “volanti”: facendo vibrare un filo trasparente collegato a uno degli spuntoni della mina, si attiva la carica esplosiva. La detonazione avviene in due fasi: una prima carica solleva a 80cm da terra un cilindro contenente circa 2000 frammenti metallici, una seconda carica causa poi la vera esplosione che irradia i frammenti a 360° nella zona circostante. Questa mina è mortale nel raggio di 27m e può ferire fino a oltre 200m. È studiata per causare ferite al torace e all’addome. TYPE 72 Mina esplosiva di produzione cinese. 78mm di diametro, 38mm di altezza, 125g di peso. Colore verde. La mina si attiva a pressione, camminandoci sopra. La detonazione produce l’amputazione del piede o dell’intera gamba. (Nome sconosciuto) Mina vietnamita a frammentazione delle dimensioni di una pallina da tennis. Può essere montata su un sostegno di metallo o nascosta direttamente nel terreno. Scoppia sia a pressione che attraverso un filo d’inciampo. PFM 1 Mina di produzione sovietica di piccole dimensioni, capace di stare nel palmo della mano (reverse engineering di un oggetto statunitense disperso largamente in Vietnam nei primi anni ’70). La mina è anche conosciuta come “pappagallo verde”, nome coniato dagli anziani dei villaggi afgani che la vedevano planare dal cielo. Le PFM 1 infatti vengono disperse dagli elicotteri, le due alette permettono loro di planare dolcemente e di ricoprire un’ampia porzione di territorio rispetto al punto del lancio. È una delle mine più “odiose” perché studiata per colpire i bambini. A differenza delle mine precedenti, questa non viene interrata o studiata per mimetizzarsi con il terreno (ne sono state ritrovate anche di colore rosa, giallo o azzurro), il suo compito è quello di essere ben visibile e di incuriosire l’occhio del bambino. La detonazione non è causata da chi la calpesta, ma da una continua pressione esercitata sull’aletta rigonfia e spugnosa; lì è contenuto un liquido esplosivo che deve raggiungere il corpo centrale dove è sistemato il detonatore. L’esplosione può avvenire dopo una ventina di minuti o dopo poche ore, a seconda del tipo di pressione che viene esercitata. Questo scoppio ritardato serve a massimizzare gli effetti della mina, giocando sulla psiche dei bambini. La speranza di chi progetta queste mine è che il bambino abbia il tempo di condividere la nuova scoperta con i suoi piccoli amici ed è in quel momento che l’ordigno dovrebbe scoppiare, colpendo più bambini in un colpo solo. La PFM 1 causa amputazioni agli arti superiori e va a colpire gli occhi del bambino, che quasi sempre resta cieco. PMA –2 Questa foto viene inserita per dare un’idea delle dimensioni delle mine. Le mine antiuomo hanno caratteristiche comuni alla maggior parte dei modelli conosciuti che le rendono ancora più imprevedibili. Spesso le mine cambiano posizione sul terreno rispetto al punto in cui sono state posate. Quelle a tenuta stagna che vengono depositate nel letto dei fiumi sono “derivanti”, subiscono cioè le variazioni del livello del fiume stesso. Un improvviso aumento della portata dell’acqua può trasportare con sé le mine insieme ai ciottoli del fiume e farle scendere verso valle. Anche il vento, i movimenti tellurici e le alluvioni possono modificare la disposizione degli ordigni. Nel novembre 1998 migliaia di mine sono state ridistribuite sul terreno del centro America dall’uragano Mitch[26] e la stessa cosa è avvenuta in Mozambico durante la recente alluvione, che ha recapitato le mine direttamente nelle capanne dei villaggi. Chi usa le mine nel corso di un conflitto deve tenere in considerazione tutti questi fattori per non cadere vittima delle sue stesse trappole, soprattutto se ha in programma conquiste territoriali[27]. Per concludere non possiamo dimenticare il “fai da te” della produzione di mine. Qui dati e classificazioni non esistono, ma esiste un’ampia gamma di mine assemblate artigianalmente. È infatti possibile costruire una mina con materiali elementari: un po’ di esplosivo, un detonatore o altro mezzo innescante, filo di ferro, un chiodo e una molla. In determinate circostanze non è nemmeno necessario disporre di frammenti metallici con cui infarcire la mina. Nella penisola indocinese, ad esempio, sono state rinvenute mine costruite completamente in legno, piene di sterco di mucca o legno marcio. 1 . 2 – Le conseguenze delle mine antiuomo L’esistenza di milioni di mine ha parecchie conseguenze nefaste sulla vita dell’uomo. A detta di tutti gli Stati, le Organizzazioni Internazionali e le ONG che si sono occupati della materia, gli effetti delle mine antiuomo si ripercuotono principalmente nei seguenti ambiti : - la salute delle popolazioni civili ; - lo sviluppo economico e sociale ; - il consolidamento dei processi di pace ; - il ritorno a casa di sfollati e rifugiati ; - l’ambiente. Prima di passare in veloce rassegna i cinque settori, è bene sottolineare in che tipo di panorama sociale si trovano i Paesi minati. Si tratta di regioni povere del mondo, private delle infrastrutture e del tessuto economico da guerre protrattesi per parecchi anni. Il livello culturale è normalmente molto basso e il poco personale professionalmente qualificato ha probabilmente lasciato il Paese da tempo. Le informazioni circolano con difficoltà, l’apparato sanitario va in crisi anche solo per un intervento di base e il sostegno medico è delegato alla Croce Rossa Internazionale e alle ONG straniere. Spesso non esiste un Governo forte del sostegno di un apparato coercitivo in grado di controllare l’intero territorio nazionale e molte armi sono nelle mani di bande di ribelli e bambini-soldato. Tenendo in considerazione questo quadro si può capire facilmente come i problemi causati dalle mine siano automaticamente ingigantiti dal contesto sociale in cui vanno a provocare i loro danni. 1 . 2 . 1 – Gli effetti sul corpo umano Abbiamo già visto quali sono le conseguenze principali delle mine sul fisico dell’uomo. Le mine sono prevalentemente studiate per non uccidere le proprie vittime, ma per renderle disabili a vita e bisognose di assistenza continua. I rapporti delle maggiori organizzazioni sanitarie che assistono le vittime parlano di tre tipi principali di conseguenze mediche, determinate dal tipo di mina in cui ci si imbatte. 1) Le mine esplosive, attivate da un piede che le calpesta, provocano di norma l’amputazione del piede e della gamba entrati a diretto contatto con l’ordigno, il ferimento della seconda gamba e dei genitali. 2) Le mine a frammentazione, che esplodono per diretto contatto o per oscillazioni del filo d’inciampo, provocano ferite diffuse su tutto il corpo, di diversa gravità a seconda della distanza tra vittima e ordigno. Quando la distanza è minima la conseguenza è la morte. 3) Le mine che esplodono a seguito di un tentativo di manipolazione portano a gravi ferite alle mani e agli occhi, con conseguenti amputazioni e cecità. In questo caso le vittime sono prevalentemente coloro che posano le mine sul terreno, gli sminatori e i bambini che provano a smontare l’oggetto sconosciuto. Oltre alle conseguenze dirette sul corpo umano sopra descritte, esiste un’ampia casistica di effetti indotti in grado di provocare ulteriori gravi disturbi e conseguenze sulla psiche delle vittime[28]. 1 . 2 . 2 – Gli effetti sullo sviluppo economico e sociale La presenza delle mine sul terreno impedisce il normale sviluppo del tessuto sociale sia durante che al termine del conflitto armato finché l’area non sarà completamente bonificata. Particolarmente pesanti sono le conseguenze sulla produzione agricola, che in molti dei Paesi minati costituisce il primo, se non l’unico, mezzo di sussistenza. Gli abitanti dei villaggi sono così costretti a scegliere se morire di fame o se correre il rischio di coltivare un terreno minato. La presenza di mine sulle strade e i sentieri azzera le possibilità di movimento. In una situazione del genere non viene colpito solo il settore dei trasporti, ma anche l’istruzione dei bambini che vengono tenuti al riparo delle mura domestiche per non rischiare di incontrare una mina nel tragitto che li separa dalla scuola. La mancanza di acqua corrente nelle abitazioni obbliga inoltre la gente a recarsi a un pozzo o al fiume per procurarsela, mentre le fonti idriche sono uno dei bersagli principali di chi colloca le mine. Nemmeno le attività più intime risultano sicure, infatti tra i luoghi preferenziali dove interrare mine ci sono i cimiteri, soprattutto dove esiste una profonda cultura del culto dei morti. Di fronte a una situazione così precaria diventa molto improbabile che qualche tipo di investimento venga programmato da istituzioni e imprenditori locali o esteri. 1 . 2 . 3 – Gli effetti sul consolidamento della pace Questo problema va considerato da due punti di vista, uno interno e uno esterno ai rapporti tra le fazioni che hanno raggiunto la pace dopo un aspro conflitto. Dal punto di vista interno, le mine non agevolano una conciliazione per il continuo senso di insicurezza che generano nella gente. La fine di una guerra è un momento molto precario, che paga vendette, rancori e atrocità accumulatisi sui due fronti. Il problema si complica ulteriormente se la quantità di mine seminata da uno degli ex contendenti sul territorio nemico è nettamente superiore all’uso che ne ha fatto l’avversario. È infatti facile intuire quali rischi corra un processo di consolidamento della pace se, mentre cerca di rafforzarsi, continuano a morire persone per mano di mine seminate dall’ex nemico. In queste circostanze può bastare la sete di vendetta di un singolo per far saltare tutta la struttura e le mine contribuiscono a fornire occasioni di scontro. Dal punto di vista esterno, dobbiamo invece considerare le perdite umane che le mine possono causare tra il personale delle Nazioni Unite, dell’ICRC e delle varie ONG eventualmente convenute sul posto per agevolare il ripristino delle condizioni pre-belliche. Le mine non si limitano a rallentarne i lavori, precludendo l’accesso a porzioni di territorio, ma rischiano di far riconsiderare i piani di intervento qualora la situazione risultasse troppo pericolosa. I caschi blu dell’ONU, ad esempio, hanno già avuto 43 morti e 315 feriti da mina nel corso di operazioni di pace[29]. Riassumendo in due soli concetti possiamo dire che le mine hanno svuotato di senso gli accordi di “cessate il fuoco” e che, essendo le uniche armi che non tornano a casa alla fine di una guerra, continuano il loro lavoro senza considerare i trattati di pace. 1 . 2 . 4 – Gli effetti su dispersi e rifugiati In questo caso il titolo del paragrafo si commenta da solo. Tutti gli esodi di profughi attraverso Paesi minati sono costellati di tragedie legate alle mine. Le vittime da mina aumentano al termine di un conflitto anziché diminuire. Questa affermazione può sembrare un paradosso, ma è la realtà[30]. Quando ci sono accesi combattimenti fuori dalle mura di casa, le famiglie tendono a restare al riparo e a uscire solo per procurarsi i generi alimentari di primaria necessità. Le insidie peggiori si incontrano nei mesi successivi al tacere del conflitto. È proprio in quel momento che la gente tenta di ripristinare le normali abitudini di vita e che i bambini possono tornare a scorrazzare per i campi, ma l’eredità di nuove mine sul terreno si farà sentire in maniera pesante. Il problema si amplifica enormemente quando a muoversi è una massa di migliaia di persone. 1 . 2 . 5 – Gli effetti sull’ambiente Questo aspetto del problema non può essere sviluppato in questa sede, occorrerebbe un lavoro di ricerca a se stante. Ma la questione è altrettanto grave e non si intende certo sminuirne la portata. Le mine antiuomo riescono infatti ad avvelenare i fiumi o a cambiare l’habitat naturale di intere aree geografiche e anche la vita degli animali ne risulta condizionata. Tutte le conseguenze rapidamente elencate sopra si intrecciano e si accumulano nelle pesanti condizioni di vita dei Paesi ricchi di ordigni inesplosi. La presenza delle mine sul territorio riesce a condizionare da sola e per decenni la vita della popolazione. Un gesto tanto rapido come sganciare uno “scatolone” di mine da un elicottero è capace di cambiare per sempre l’esistenza della gente che vi abita sotto. Tentare di spiegare cosa significhi per il morale di un popolo vivere quotidianamente con il pericolo di calpestare una mina è operazione molto complessa e soprattutto impropria per chi non è mai stato costretto a quelle condizioni di vita. Le testimonianze dirette di chi deve convivere con le mine lasciano addosso uno sconfinato senso di impotenza e fanno capire con estrema chiarezza come la porzione nord-occidentale e ricca del mondo altro non sia che una versione minoritaria dei modelli di vita dell’uomo sulla Terra. È parso quindi giusto concludere questa parte dedicata alle conseguenze delle mine riportando una testimonianza diretta di chi conosce queste sensazioni: “The number is not so important for the case of Mozambique, but what is important is the effect, the impact they have on civil society, on the country. We have vast extentions of land that cannot be used because of landmines, ‘cause no one knows where the landmines are laid. These landmines are located in the most populated areas where people need to go and where children need to play, where the women need to go and fetch water, firewood…”[31]. 1 . 3 – Lo sminamento Per parlare di sminamento bisogna chiarire subito la doppia accezione in cui il termine può essere inteso. Esistono due tipi di sminamento: quello “umanitario” e quello “militare”, che hanno esigenze e mirano a risultati ben diversi. Lo sminamento “umanitario” ha il compito di bonificare completamente un’area minata per permetterne il riutilizzo e la abitabilità senza rischi. È dunque necessario in questo caso progettare un intervento massiccio, capace di liberare completamente un Paese dalle mine che sono state interrate nel corso di un conflitto. Lo sminamento “militare” mira invece a raggiungere una percentuale di rischio accettabile in rapporto alle esigenze sul campo di battaglia. Da questo punto di vista, un territorio è da considerarsi sminato quando il 70-80% degli ordigni che si stimano sul terreno vengono rimossi. L’esigenza militare è spesso limitata a creare un passaggio per i combattenti all’interno di una zona minata, senza bisogno di preoccuparsi di tutto quello che c’è attorno[32]. L’obbiettivo di questo lavoro è di capire come sia possibile eliminare le mine antiuomo e non solo una parte di esse, quindi lo sminamento interessa solo in quanto inteso nella prima delle sue accezioni. Parlare di sminamento richiede un elevato numero di conoscenze tecniche, poichè i vari campi di studio, sviluppatisi per trovare sistemi veramente efficaci nell’eliminazione delle mine, attraversano un cospicuo numero di discipline scientifiche, come la chimica, l’ingegneria, la fisica e la robotica. Ma dal punto di vista della effettiva incidenza di tutti i sistemi di sminamento conseguentemente prodotti, il discorso in realtà si semplifica notevolmente. Negli ultimi anni sono stati studiati sistemi di sminamento che utilizzano strumenti molto diversi. Esistono sistemi che usano sensori e radar di vario tipo, laser, metodi nucleari, grandi mezzi meccanici e batteri che divengono luminescenti a contatto con le componenti volatili degli esplosivi. Una ricerca approfondita in questo campo richiederebbe davvero molto tempo, ma tutte le fonti consultate finiscono per portare a un’unica conclusione: tutti questi sistemi per il momento non servono praticamente a niente in ambito umanitario. Alcuni sono ancora in fase sperimentale, altri non sono in realtà praticabili o non forniscono garanzie adeguate (i grandi mezzi meccanici, ad esempio, possono fornire appoggio ai militari, ma non servono in campo civile perché non danno garanzie oltre l’80% e inoltre sono totalmente impraticabili nella maggior parte dei Paesi minati con terreni montagnosi, rocciosi o paludosi, nonché in ambito urbano). Tutti questi sistemi hanno un altro grave difetto, che risiede nel loro costo. La ricerca per lo sminamento sta continuando a lavorare partendo da presupposti molto lontani dalla realtà sul campo. Vengono sviluppate tecnologie sofisticatissime, destinate però a Paesi che non dispongono né delle risorse finanziarie, né delle conoscenze necessarie per poterne usufruire[33]. Gli unici metodi accessibili al momento sono rappresentati dai cani appositamente addestrati e dall’uso dei metal detector; entrambi i sistemi possono essere un aiuto in più a disposizione dello sminatore, ma non rappresentano la soluzione del problema. I cani sono utili nell’individuazione di un’area minata e nella fase di accertamento della sua avvenuta bonifica, ma non individuano, né possono disattivare, la singola mina. Inoltre i cani antimina sono pochissimi e, al pari dell’uomo, hanno bisogno di riposo, di cibo e di svago. I metal detector sono compagni inseparabili dello sminatore, ma da una parte non riescono a individuare tutte le mine presenti sul terreno, perché molte di esse contengono una quantità di metallo troppo ridotta, e dall’altra fanno perdere molto tempo allo sminatore, segnalandogli la presenza di tutto ciò che può contenere metallo (schegge, bossoli, contenitori vari e rifiuti di ogni tipo che abbondano sui terreni che hanno ospitato un conflitto). In definitiva tutti questi metodi, quando sono economicamente accessibili e tecnicamente impiegabili sul terreno, hanno una scarsa efficacia nell’individuazione delle mine e nessuna valenza nell’effettivo atto di bonifica. Purtroppo oggi sminare significa una cosa sola: un uomo deve essere capace di trovare una mina, sdraiarsi per terra e con un paziente lavoro scovarla e disattivarla, senza causarne la detonazione. Gli sminatori agiscono normalmente in coppia e cercano di aprirsi un passaggio attraverso una zona che si presume minata. Il primo avanza sul terreno con un metal detector seguendo un percorso definito e si arresta nel momento in cui pensa di avere individuato una mina. A quel punto torna indietro ripercorrendo gli stessi passi del tragitto di andata e dà il cambio al collega che andrà ad analizzare la zolla sospetta con l’ausilio di una “asta di sondaggio”. Se il punto individuato rivelasse effettivamente la presenza di un ordigno inesploso, lo sminatore dovrà valutare il tipo di mina che ha di fronte e scegliere il metodo adatto per disattivarla. Esistono infatti mine che possono essere asportate manualmente per essere disattivate in altra sede, mine che devono essere fatte esplodere sul posto con l’aiuto di altro esplosivo e mine che bisogna cercare di aprire e rendere inattive staccando i collegamenti giusti. Terminato questo lavoro si ricomincia tutto dal principio. Tutta questa attività, come si può ben capire, ha costi elevati e tempi lunghi. Nel paragrafo successivo vedremo dei dati in proposito, mentre la fotografia seguente può spiegare ancora meglio delle parole i rischi del lavoro di bonifica. Altro compito fondamentale dello sminatore è dato dalla decisione sulle priorità di intervento. Al termine di un conflitto le aree da controllare e bonificare sono moltissime e bisogna decidere da dove cominciare. Le organizzazioni “serie” che si occupano di questa attività iniziano da una fase che serve ad aprire dei “passaggi” che permettano di accedere alle zone di approvvigionamento e che permettano inoltre di riaprire le prime rudimentali vie di comunicazione. Una volta assicurata una soglia minima di abitabilità, si dovranno fare ulteriori scelte per procedere nel lavoro. Questo discorso è particolarmente delicato da diversi punti di vista, soprattutto quando sul terreno esistono interessi in conflitto tra gruppi rivali, che potrebbero interpretare l’ordine di priorità nell’intervento in maniera ostile oppure esercitare pressioni sugli sminatori per vedere assegnata la precedenza a una zona anziché a un’altra. Ma il problema è delicato anche per il fatto che lo sminamento è spesso un grande business e le decisioni sul campo possono rivelare interessi diversi da quelli di ordine umanitario (ma su questi problemi avremo modo di tornare nella sezione III). 1 . 4 – Le dimensioni del problema Prima di leggere i dati è necessario fare una premessa. Nessuno ha la certezza di quante siano e dove si trovino le mine ancora interrate sul pianeta; tutti i dati forniti devono essere letti come stime più o meno attendibili. Affidiamo al lettore come valutare tale attendibilità in base alle fonti da cui i dati sono stati attinti. In qualunque modo si decida di leggere questi numeri, la conclusione però è una sola: nel mondo c’è una nuova vittima da mina antiuomo ogni 22 minuti, questa è una certezza. 1 . 4 . 1 – Quantità e posizionamento
Legenda: Il punto interrogativo (?) in tabella è usato per un numero imprecisato di mine. Il segno (-) viene impiegato quando la fonte non cita lo Stato in questione. L’uso del grassetto indica i Paesi con più di 1.000.000 di mine stimate. ONU 1997 – numero mine stimate[35]. ICRC 1995 – numero mine stimate[36]. Questi dati sono stati ufficializzati anche dal Governo di Washington[37]. Tutti i soggetti interessati alla ricerca sulle mine riferiscono di stime molto vicine a quelle proposte da ONU e ICRC. Sarebbe superfluo elencare tutte le fonti che sono state prese in esame, possiamo comunque dire che i dati proposti da tutti i Governi firmatari della Convenzione di Ottawa, dalle ONG che compongono ICBL e dall’associazione Emergency rientrano nella banda 100.000.000-125.000.000. Queste cifre devono essere accolte come un’apprezzabile stima della situazione, considerando le numerose e autorevoli fonti che le forniscono. Due considerazioni, tuttavia, ci portano a ritenere che eventuali errori siano più probabili per difetto che per eccesso. Prima di tutto queste stime si basano su dati ufficiali forniti dai Governi e successivamente valutati da organizzazioni che lavorano sul campo nello sminamento e nell’assistenza alle vittime, ma non possono considerare a pieno l’effettivo impiego di mine di produzione “artigianale” fatto da gruppi non inquadrati nelle forze armate regolari. In secondo luogo appare abbastanza improbabile che un Governo dichiari di avere utilizzato un numero di mine superiore a quelle che ha realmente impiegato, mentre potrebbe avere interesse a ridimensionare il suo operato. A tutto ciò bisogna aggiungere che sul terreno riposano anche bombe e proiettili di vario tipo, inesplosi al momento dell’impatto con il terreno e che ora costituiscono un’insidia pari a quella delle mine antiuomo. La tabella si commenta da sola, vale forse solo la pena di sottolinearne due aspetti. I dati relativi ai Paesi dell’Europa occidentale sono riferiti a residuati bellici della Seconda Guerra Mondiale. Questi Paesi non hanno più partecipato a vicende belliche sul proprio territorio da oltre mezzo secolo. Il dato però è interessante perché fornisce un’idea della perpetua pericolosità di questi ordigni inesplosi e le mine che sono state progettate nella seconda metà del ‘900 hanno probabilmente una capacità di resistenza ancora superiore. È interessante inoltre notare i numeri che vengono forniti sugli Stati della ex Jugoslavia, che hanno raggiunto l’indipendenza dopo aspri conflitti, ma di durata decisamente inferiore rispetto a quelli combattuti in altre zone del mondo come l’Africa, il Medio Oriente e l’Indocina. Mettendo questi dati a confronto sembra che nella penisola balcanica il ricorso alle mine antiuomo sia stato davvero enorme. Come si diceva in precedenza, non esiste dubbio sulle stime della quantità di mine ancora disperse per il pianeta. In tutte le fonti consultate dalla metà degli anni ’90 fino a oggi le cifre proposte superano sempre i 100 milioni ed è stato possibile rintracciare una sola voce stonata in mezzo al coro: Jane’s. L’autorevole agenzia inglese spiega[38] come il problema delle mine antiuomo sia stato sopravvalutato e che secondo i “bene informati” in realtà il pianeta ospiterebbe solo un quantitativo di ordigni valutabile tra 20 e 50 milioni. Inoltre, viene precisato che il Paese più minato del mondo, l’Egitto, non è infestato da oltre 20 milioni di mine, ma soltanto da 2 milioni. L’errore di calcolo, secondo Jane’s, deriverebbe dall’aver fatto rientrare nella categoria delle mine anche altre “munizioni” di diversa natura, tanto che oggi il numero delle mine rese inattive sarebbe superiore a quello delle mine ancora interrate. Con tutto il rispetto per Jane’s, non sembra possibile considerare attendibili dati tanto lontani da quelli su cui concordano in pratica tutti i Governi, le Organizzazioni Internazionali e le ONG. L’autorevole agenzia inglese deve avere tra le proprie fila “superesperti” in grado di fornire dati più esatti di quelli di chiunque altro; personalmente però penso che una simile mistificazione della realtà testimoni da sola della serietà di questi signori e, pensando a tutti i bambini costretti a vivere senza gambe, riesce difficile non provare un certo disgusto per il loro “lavoro”.
1 . 4 . 2 – Dati aggiuntivi La mappa delle mine antiuomo attualmente sul terreno è forse il punto di riferimento più evidente per rendersi conto delle dimensioni del problema, ma esistono molti altri dati che ci permettono di capire a quali conseguenze conduca la situazione fotografata dalla tabella del paragrafo precedente. Di seguito forniamo ulteriori elementi di riflessione che completano il quadro in esame. Particolare evidenza viene data al numero delle vittime e alla drammatica sproporzione tra tempi e costi della posa delle mine rispetto a tempi e costi della loro eliminazione. ONU[39] e One World International Foundation[40]: - oltre 110.000.000 di mine attive suddivise tra non meno di 68 Paesi; - le mine interrate possono restare attive per più di 50 anni; - l’uso delle mine è drammaticamente aumentato negli ultimi 20 anni; - ogni mese le mine uccidono o mutilano 2.000 persone, per la maggior parte civili dopo la fine delle ostilità; - secondo i dati di ICRC solo il 24,6% delle vittime raggiunge una struttura ospedaliera entro sei ore dallo scoppio, il 69,4% impiega ventiquattro ore, l’84% necessita di quarantotto ore e il restante 16% ottiene cure mediche solo dopo tre giorni; - il costo medio di cure mediche e conseguente applicazione di una protesi è di $3.000 per amputato nei PVS, servirebbero quindi 750 milioni di dollari per dare una sola protesi ai 250.000 amputati da mina registrati dalle Nazioni Unite; - per ogni mina disinnescata ne vengono posate sul terreno altre 20, nel 1994 ne furono rimosse 100.000 e seminate 2.000.000; - l’attività di sminamento è molto pericolosa, muore uno sminatore ogni 1.000-2.000 mine rimosse; - il prezzo di una mina varia tra $3 e $30, il costo di sminamento unitario varia invece tra $300 e $1.000; - per rendere inattive 110.000.000 di mine servirebbe una spesa di 33 miliardi di dollari; gli esperti hanno stimato che all’attuale velocità di sminamento servirebbero più di 1.100 anni per bonificare l’intero pianeta se nessuna nuova mina venisse posata. la Repubblica.it[41] – 1997: - 118.000.000 di mine presenti in almeno 62 Paesi; - 10.000.000 di mine prodotte ogni anno; - le mine poste sul terreno restano attive per 50 anni; - ogni giorno 70 persone rimangono colpite da una mina, per un totale di 26.000 all’anno; - i civili costituiscono il 90% delle vittime da mina, i soli bambini il 20%; - un bambino mutilato da una mina dovrà cambiare mediamente 25 protesi nel corso della vita; il costo medio di una protesi è di $125; - per ogni mina rimossa ne vengono piazzate altre 35; - servirebbero 5 miliardi di dollari per bonificare le sole mine poste sul terreno nel corso del 1996; - il prezzo medio in lire di una mina è 15.000, il costo unitario per sminarla si aggira sul milione; - 4.300 sono gli anni necessari per bonificare l’Afghanistan mantenendo costante l’attuale velocità di sminamento; - in Paesi come Cambogia e Afghanistan si calcola che il 35% delle terre non è utilizzabile a causa delle mine. Tutti i dati che abbiamo letto finora sono una fotostatica e rappresentano il quadro di una situazione che a partire da questi numeri può migliorare o peggiorare a seconda delle scelte che sono state fatte negli ultimi anni e che si assumeranno in futuro. Il cambiamento di questo quadro sarà dettato prima di tutto dal modo in cui verranno usate le mine nei prossimi anni, sia quelle già presenti nei magazzini che quelle in corso di produzione. La situazione si sposterà in una direzione o nell’altra a velocità molto diverse. Servirà infatti un tempo limitato per far aumentare in maniera esponenziale il numero di mine sul terreno e di vittime in ospedali e cimiteri, mentre occorrerà un lavoro molto lungo e dispendioso se le scelte cadranno a favore di un mondo liberato dalle mine antiuomo. La Cambogia e l’Afghanistan si possono collocare una accanto all’altro nel momento statico della nostra analisi, ma già da alcuni anni hanno scelto strade diverse che li porteranno su posizioni lontane nel giro di poco tempo. La Cambogia sembra finalmente conoscere un periodo di pace dopo decenni di conflitti interni e internazionali che l’hanno attraversata e martoriata. A Phnom Penh siede un governo che sta cercando di riportare il Paese alla “normalità” e che si sta muovendo attivamente per porre freno al dramma delle mine. Sul territorio cambogiano sono infatti presenti numerose ONG che hanno iniziato le operazioni di sminamento e altre che si occupano del sostegno sanitario alle vittime. La Cambogia, inoltre, ha ratificato il Trattato di Ottawa per al messa la bando delle mine antiuomo e mostra il suo impegno anche attraverso altri canali. Un esempio è dato dal sito internet del Ministero degli Affari Esteri cambogiano, che è uno dei pochi siti web ministeriali al mondo a ospitare una specifica trattazione sulle mine, mostrando così l’importanza che il governo locale assegna al problema. In direzione ben diversa muove invece l’Afghanistan. Il Paese è in guerra dal 1978; nel frattempo la Guerra Fredda è finita e i soldati di Mosca sono tornati a casa, ma il conflitto non si è mai fermato. L’ultimo capitolo lo stanno attualmente scrivendo i Talebani al potere dal settembre del 1997 e i fedeli del vecchio regime Mujaheddin che non si sono arresi. I Talebani controllano saldamente Kabul e gran parte dell’Afghanistan, mentre le truppe di Massud sono costrette a nascondersi al nemico, ma chi comanda Kabul non ha ufficialmente relazioni internazionali con il resto del mondo, perché tutti i rappresentanti afgani in Paesi stranieri sono uomini del regime in carica fino al 1997[42]. In questa situazione la guerra continua, le mine antiuomo vengono utilizzate e i programmi di intervento umanitario sono molto più difficoltosi rispetto al panorama cambogiano (e l’Afghanistan non ha ovviamente aderito al Trattato di Ottawa). La Cambogia e l’Afghanistan ci fanno capire come da una medesima fotografia iniziale possano poi scaturire situazioni tanto diverse. Se le scelte di questi due Paesi non varieranno, la stessa fotografia scattata tra dieci anni darà sviluppi ben diversi. Un ulteriore spunto di riflessione può esserci dato dalla situazione dell’Iraq. Anche qui il numero di mine presente sul territorio è simile a quello di Afghanistan e Cambogia, però in realtà gli ordigni non sono sparsi per l’intero territorio nazionale, ma concentrati nella sola porzione abitata dai kurdi. Qui è in atto un vero e proprio genocidio attraverso l’uso di mine antiuomo collocate negli anni dal regime di Saddam Hussein: 10.000.000 di mine per colpire una popolazione composta da poco più di 3.000.000 di persone[43]. Il popolo kurdo-iracheno ha quindi più di tre mine per persona ad attenderlo fuori di casa. In questa circostanza, non si tratta più di vedere quali decisioni verranno prese per arginare il problema mine, perché il popolo kurdo non ha la possibilità di prenderle. La situazione avrà quindi una svolta verso il versante del miglioramento solo qualora la politica di Saddam Hussein cambiasse di direzione o qualora la Comunità Internazionale decidesse di smettere di far finta di non vedere quello che accade in quella regione del mondo. La fotografia della situazione fino alla fine degli anni ’90 delinea un quadro assolutamente drammatico dal quale non si può scappare, ma che possiamo evitare di peggiorare. La successiva trattazione di questo lavoro (dopo aver preso in considerazione l’attuale posizione delle mine antiuomo nel contesto del Diritto Internazionale Umanitario) cercherà proprio di trovare le strade che portano verso un lento recupero di un mondo senza mine, anziché la più rapida discesa verso una situazione ancora più pesante di quella che già stiamo vivendo. Gli ultimi elementi da tenere in considerazione prima di andare oltre sono quindi quelli relativi alle fonti capaci di aggravare il bilancio del problema mine. Di seguito forniamo i dati relativi alle mine attualmente accumulate nei magazzini militari e industriali nel mondo (che aspettano di essere interrate o distrutte) e i dati relativi alla produzione industriale in corso. Tali dati sono contenuti in Landmine Monitor – Report 1999, un’imponente pubblicazione predisposta dal cartello di ONG che forma la Campagna Internazionale per la messa al bando delle mine antiuomo (e che conosceremo meglio nel prossimo capitolo). Stock di mine. 250.000.000 di mine antiuomo sono presenti nei magazzini di 108 Stati, una buona parte dei quali però ha già in corso un processo di eliminazione. I quantitativi più rilevanti sono: Cina 110.000.000 * Russia 60-70.000.000 * USA 11.000.000 Bielorussia 10.000.000 * Ucraina 10.000.000 ☺ Italia 7.000.000 ☺ India 4-5.000.000 * Svezia 3.000.000 * ☺ Albania 2.000.000 * Corea del Sud 2.000.000 * Giappone 1.000.000 ☺ Legenda: (*) indica delle stime attendibili, ma non dati certi. (☺) indica che nel Paese è iniziato il processo di eliminazione degli stock. Produzione di mine antiuomo. I Paesi produttori di mine nel secondo dopoguerra sono stati 54[44]. I produttori attuali sono 16: Birmania – Cina – Corea del Nord – Corea del Sud – Cuba – Egitto – India – Iran – Iraq – Jugoslavia – Pakistan – Russia – Singapore – Turchia – USA – Vietnam. Se questo è il quadro dell’attuale situazione, bisogna però aggiungere che il Trattato di Ottawa, che proibisce la produzione delle mine antiuomo, è stato ratificato finora da 107 Stati e che quindi esistono in realtà più di 80 Paesi entro i cui confini produrre mine è assolutamente legale.
[1] G.DEVOTO-G.C.OLI – Vocabolario illustrato della lingua italiana – Milano – Felice Le Monnier e Selezione dal Reader’s Digest S.p.A. - Vol.II M-Z – VIII ristampa 1975 – p.130. [2] Enciclopedia Universo – Volume Ottavo – Istituto Geografico De Agostini – Novara 1974 – p.316. [3] ICRC – Les mines terrestres antipersonnel – des armes indispensables ? Emploi et efficacité des mines antipersonnel sur le plan militaire – (Qu’est-ce qu’une « mine antipersonnel » ?). www.icrc.org/icrcfre.nsf/6dc683e716df6159412562c900328ef8/1a28fb3d725e0e0e4125631b00482490?OpenDocument . [4] Oltre alla definizione di mina antiuomo, nel corso del lavoro verranno più volte utilizzati altri termini tecnici come “campo minato”, “zona minata”, “obbiettivo militare”, “dispositivo anti-handling”, “trasferimenti di mine”, ecc.. Tutte queste definizioni si trovano all’art.2 del Trattato di Ottawa e all’art.2 dell’emendato Protocollo II alla Convenzione di Ginevra del 1980. I due testi sono disponibili nella sezione “Allegati”, rispettivamente ai numeri 1 e 5. [5] Di seguito i termini “mina antiuomo”, “mina antipersona” e “mina” verranno utilizzati come sinonimi; quando vorremo rivolgerci a un differente tipo di mina rispetto a quelle studiate per colpire un essere umano ne verrà data specifica indicazione. [6] Supplemento ordinario alla “Gazzetta Ufficiale” n.94 del 23 aprile 1999 – Serie generale. [7] Nel proseguo della trattazione non ci riferiremo mai al testo in lingua italiana di una convenzione internazionale, sia per la pessima traduzione del Trattato di Ottawa recepita dalla Gazzetta Ufficiale, sia perché l’italiano non è lingua ufficiale delle Convenzioni Internazionali. [8] M. OVADIA Prefazione al libro di G. STRADA Pappagalli verdi (Cronache di un chirurgo di guerra) Milano – Feltrinelli – Gennaio 1999 – p.8. [9] Enciclopedia Militare, arte biografia geografia storia tecnica militare – vol. 5 – Milano – Istituto Editoriale Scientifico, 1933. [10] K. MACKSEY – W. WOODHOUSE – The Penguin Enciclopedia of Modern Warfare 1850 to the present day – London – Viking (Penguin Group), 1991. [11] G. DOUHET – Il dominio dell’aria: saggio sull’arte della guerra aerea – Istituto nazionale fascista di cultura, 1927. [12] L’oggetto bellico più costoso che sia mai stato costruito, l’intero Progetto Manhattan impiegò $1.889.604.000 pari a circa 25 miliardi di dollari di oggi – [14] F. CAPPELLANO e F. TERMENTINI – Le mine antiuomo nelle guerre italiane del ‘900 – Rovereto Museo Storico Italiano della Guerra – 2000. [15] Cfr. M. GRASSELLI – Mine l’inferno sotto i piedi – Pisa – ETS (copyright Provincia di Pisa), 1999. [16] “Di piccole cariche, bombe a mano e blocchetti di tritolo muniti di accenditore ne furono trovate presso Riglione, dietro il cimitero, ben occultati e pronti alla loro opera micidiale. Il luogo insolito e imprevedibile le rendeva doppiamente insidiose. Non si capiva perché lì in un posto per niente frequentato e assolutamente fuori da ogni stradetta o viottolo. Difficile, difficilissimo individuare i percorsi tortuosi che segue la mente di chi prepara trappole per gli uomini…” – M. GRASSELLI – Op. Cit. p.97. [17] Tra il 1980 e il 1988, i Sovietici fecero ricorso massiccio alle mine antiuomo, mentre i Mujaheddin ne impiegarono un quantitativo nettamente inferiore. Nonostante la netta sproporzione sul piano quantitativo, l’armata sovietica, che aveva mandato 620.000 soldati in Afghanistan, subì la perdita di 14.453 uomini e il ferimento di 53.753 a causa delle mine antiuomo. Cfr. W.GRAU – Mine Warfare and Counterinsurgency: The Russian View – Foreign Military Study Office – Fort Leavenworth – USA – http://call.army.mil/call/fmso/fmsopubs/issues/minewar/minewar.htm . [18] M. GRASSELLI – Op. Cit. p.109. [19] La Cambogia ha la più alta proporzione al mondo di amputati: 1 ogni 236 abitanti – Vedi “Emergency” n.7 – Aprile 1997 – p.4. [20] Inserendo la voce “antipersonnel landmine” nell’archivio telematico del governo statunitense viene fornito un elenco di circa 300 modelli – www.demining.brtrc.com/MineSearch.ASP . [21] La foto è stata copiata dal sito web di Emergency – www.emergency.it/mine/mine/html . [22] Vedi nota precedente. [23] La foto è stata copiata dal sito web della Croce Rossa Canadese – [24] Vedi nota precedente. [25] La foto (scattata da John Rodsted) è stata copiata dal sito web del MAECI Canada – www.mines.gc.ca/french/gallery/mines.html . [26] MAECI Canada – L’ouragan Mitch annule les progrès en matière de mines terrestres – “Passage” N.9 – Primavera-Estate 1999 – p.9. [27] Vedi la sfortunata vicenda di Bego Memisevic, saltato su una mina da lui stesso piazzata nel giardino di casa a Sarajevo. C. SHIRLEY – “È un campo minato…” Rifugiati – Anno XI n.1 p.19. Periodico di informazione dell’UNHCR. [28] A chi volesse approfondire la materia nel settore sanitario consigliamo di rivolgersi alla associazione Emergency, che ha maturato un’esperienza sul campo che non ha eguali al mondo (l’Organizzazione Mondiale della Sanità si è rivolta proprio a questa ONG per studiare piani congiunti di intervento sulle vittime da mina). Emergency pubblica un giornale quadrimestrale che porta lo stesso nome dell’associazione. Un documento molto dettagliato è stato redatto da ICRC – Assistence aux victimes des mines antipersonnel: besoins, contraintes et stratégie – www.icrc.org/icrcfre.nsf/c12562970032542a4125621200524882/1334a9537d2c9abc412564f00031fc76?OpenDocument . Un altro documento molto interessante è stato predisposto da L. W. GRAU – Guerrilla warfare and land mine casualties remain inseparabile – Foreign Military Studies Office – Fort Leavenworth – USA. Lo studio proposto è basato sulle conseguenze da mina riportate dalle vittime della guerra in Afghanistan del 1979 – http://call.army.mil/call/fmso/fmsopubs/issues/guerwf/guerwf.htm .
[29] MAECI Canada – Guide d’action sur les mines – www.mines.gc.ca p.42. [30] L’argomento verrà sviluppato nel capitolo V, quando ci occuperemo dell’associazione Emergency. [31] JULIO MAPETE (Mozambique Campaign to Ban Landmines) in “One Step at a Time: The Campaign to Ban Land Mines” Video prodotto da Mines Action Canada e WETV con la collaborazione di Corvideocom – Marzo 1998. [32] “Dal punto di vista strettamente militare, lo sminamento è rappresentato dalla capacità di aprire corridoi relativamente stretti, attraverso i quali poter superare i campi minati nemici. Una volta eliminati dalle mine e adeguatamente segnalati questi “corridoi” e identificati con precisione i limiti topografici del campo minato, tutte le mine che esso contiene possono essere lasciate al loro posto; si tratta di un problema da affrontare in seguito, probabilmente dopo la fine delle ostilità”. B. JANZON e L. SARHOLM da un articolo intitolato “Operazioni di sminamento a scopo umanitario” – RID – Ottobre 1996, p.75. [33] “Solo in pochi casi, come il Kuwait, il Paese interessato dispone delle risorse economiche sufficienti per finanziare da solo le operazioni di sminamento” Ibidem, p.76. [34] La foto è stata copiata dal sito web www.oneworld.org . [36] ICRC – “Landmines must be stopped” – ICRC Brochure – 1995 p.10. [37] Hidden Killers 1998: The Global Landmine Crisis. Annex A: Country Landmine and Demining Data – www.state.gov/www/global/arms/rpt_9809_demine_nxa.html . [38] I dati forniti sono contenuti nella prefazione a un documento di Jane’s intitolato “Jane’s Mines and Mine Clearance 1998-99”. Il documento è infarcito di attacchi verso il “poco serio” Processo di Ottawa, mentre esalta la “seria” e “responsabile” posizione del governo statunitense che non sarebbe caduto nella falsa intenzione degli altri governi di eliminare le mine antiuomo. Tale documento è stato ottenuto contattando direttamente Jane’s, via posta elettronica, per chiedere informazioni sui contenuti della documentazione relativa alle mine. [41] Sito web di uno dei quotidiani più venduti in Italia, i dati erano pubblicati nella sezione “Volontariato”. [42] Il sito internet www.embassy.org fornisce una serie di contatti con i rappresentanti stranieri accreditati presso il governo di Washington. Cercando di contattare i rappresentanti afgani, il sito fornisce indirizzi e numeri di telefono, ma di seguito scrive: “According to Reuters, the U.S. State Department has decided to suspend temporarily operations at the Afghanistan embassy in Washington. Effective 21st August, 1997. There is a Web site sponsored by the government of Afghan elected President Burhanuddin Rabbani; the U.S. State Department does not now officially recognize any Afghan governmental delegation”. [43] Cfr. M. CAZZANI – Kurdistan: Paradiso Minato – Emergency. [44] Secondo il Governo di Washington sarebbero in realtà 59, perché esistono situazioni poco chiare relative a Bielorussia, Cipro, Namibia, Ucraina e Venezuela. Questi Paesi vengono indicati dagli USA come ex produttori, ma loro negano tale accusa.
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